In un universo spogliato di illusioni e di luci, l’uomo si sente un estraneo.
Persuaso dell’origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano,
cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino.
A. Camus
Albert Camus è un filosofo appartenente all’Esistenzialismo, ovvero la corrente di pensiero che diede voce all’inquietudine e al clima di incertezza che sfociò nelle due Guerre Mondiali.
La sua è una filosofia caratterizzata dal dubbio e dalla messa in discussione di tutti i valori della morale tradizionale, così come lo sarà anche quella di molti altri filosofi suoi contemporanei da Nietzsche in poi.
É un’epoca, quella di Camus, in cui l’uomo sembra aver rinunciato alla possibilità di spiegare il mondo che lo circonda. La razionalità ha perso il suo potere persuasivo e la sua pretesa di spiegare ogni fenomeno di cui l’uomo fa quotidianamente esperienza.
Il filosofo quindi diventa colui che si pone in osservazione di fronte ad un mondo che, in fondo, sa di non poter mai davvero comprendere definitivamente.
Questo è lo spirito di Camus, la cui filosofia viene definita “filosofia dell’assurdo”.
L’assurdo è la vita stessa, è il mondo dinnanzi all’uomo e l’impossibilità da parte della ragione di comprenderlo in modo definitivo.
Il Mito di Sisifo
Una delle opere che meglio lo esprime è Il Mito di Sisifo.
L’incipit pone da subito una domanda lapidaria: se la vita in sé è assurda e priva di significato, è degna di esser vissuta? Vale la pensa prenderci cura di noi stessi e degli altri, se niente ha in realtà un senso intrinseco?
Camus tratta i problemi dello smarrimento, del dolore, del bisogno di risposte che l’uomo da sempre si pone, connaturate alla sua essenza.
Siamo in un’epoca in cui i grandi valori della tradizione sono crollati e in un mondo in cui Dio è morto, l’uomo deve trovare sé stesso nel momento presente (altro non gli è dato) e avere il coraggio di dare un senso alle sue azioni.
La vita diventa quindi un perpetuo confronto con la propria interiorità.
Nei secoli passati, il pensiero religioso ha “vinto” poiché ha offerto all’uomo l’opportunità di eliminare la morte. La prospettiva religiosa promette infatti la vita dopo la morte, un senso superiore, che viene elargito dall’esterno all’umanità senza che essa sia tenuta a ricercare in autonomia e dentro sé stessa la propria verità.
Per Camus invece, non è così. É qui ed ora che dobbiamo avere il coraggio di trovare un senso e uno scopo alle nostre azioni, con la precisa consapevolezza che un giorno la morte porrà fine a tutto quanto.
Il compito della filosofia è quindi quello di darci nuovi strumenti e nuove prospettive con cui relazionarci alla realtà.
La nostra natura, fatta di perpetuo cambiamento, rispecchia la nostra impossibilità di adattarci ad un mondo per noi incomprensibile, che ci porterà di conseguenza a sentirci costantemente degli stranieri (da qui il suo famoso romanzo Lo Straniero).
La Peste
Ne La Peste Camus pone al lettore il problema della malattia, del contagio, ma in realtà questo non è altro che il pretesto per sottolineare un altro concetto: ovvero che la malattia in sé può essere guarita, ma non possiamo guarire dalla morte.
L’unica cosa da cui dobbiamo cercare di guarire è la paura della morte.
La mortalità nel suo romanzo non ha in sè una connotazione negativa, è qualcosa di neutro e rappresenta semplicemente la constatazione che tutti siamo destinati a qualcosa di ignoto.
Ma ciò spaventa, perché vorremmo rendere il mondo a misura delle nostre facoltà conoscitive e la morte resta quel concetto che continuamente ci sfugge, e fa da sfondo alle nostre inquietudini.
O accettiamo l’ignoto, o vivremo nella sua ombra, temendo la morte, e non riuscendo mai davvero a vivere in modo autentico.
Ne La Peste gli abitanti vivono succubi della loro paura e proprio per questo non vivono davvero.
Il problema secondo Camus, persiste finché l’uomo sceglie di vedere la propria morte come una malattia da combattere, anziché come un fatto naturale da accettare.
Nel romanzo si racconta di una città messa in quarantena per via di un’epidemia.
Esemplificativa la descrizione dello stato d’animo esaurito e rassegnato dei cittadini, che si sono rinchiusi in una sorta di condizione letargica a metà tra la vita e la morte in cui “coraggio, volontà e pazienza crollavano. Ci si imponeva di non pensare più alla data di liberazione e al futuro. Ma così facendo, si privavano dei momenti in cui potevano dimenticare la peste, nel momento del ricongiungimento futuro. E in questo si radicavano nel loro dolore, come prigionieri, con una memoria che non serviva a nulla. Il passato sapeva solo di rimpianto. Insofferenti al presente, e privi di un futuro”.
Mancando al loro presente, per quanto disperato, stanno quindi perdendo la loro possibilità di vivere e di immaginare un futuro migliore.
Lo Straniero
Ne Lo Straniero invece, il tema cambia e iniziamo a capire meglio che cosa Camus intenda per ‘Assurdo’.
Recita l’incipit: Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: «Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti». L’ospizio è a Marengo, prenderò l’autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla ed essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: «Non è colpa mia».Insomma, non avevo da scusarmi di nulla. Stava a lui, piuttosto, di farmi le condoglianze. Ma certo lo farà dopodomani, quando mi vedrà in lutto. Per adesso è un po’ come se la mamma non fosse morta; dopo il funerale, invece, sarà una faccenda esaurita.
In queste pagine non sta dicendo nulla di definibile come “assurdo”, sta parlando del lutto materno, ma tuttavia c’è qualcosa di disturbante in questo pensiero. Sua madre è morta e lui non si mostra particolarmente scosso o intristito da questo evento.
Il problema sembra essere solo un piccolo momento di fraintendimento col principale.
Se superficialmente potremmo pensare che dietro a questo suo modo di porsi ci sia un atteggiamento stoico, in verità le cose stanno diversamente.
Merseau, il protagonista, non è uno stoico. Il suo è al contrario un atteggiamento di estraneità e spaesamento rispetto a ciò che gli è successo.
È come se mostrasse un’incapacità totale nel comprendere il giusto modo di porsi davanti un evento drammatico.
L’assurdità si traduce innanzitutto con una sensazione di estraneità agli eventi, quindi un’incapacità di familiarizzare con le proprie sensazioni: gioia, serenità o magari come in questo caso, la disperazione per un lutto.
Si avverte nel protagonista una confusione disturbante, data dal fatto che non riesce davvero a reagire all’evento della morte.
Merseau attraverso questo spaesamento, rappresenta la presa di coscienza immediata del fatto che la vita è Assurda.
Il suo personaggio tuttavia, rappresenta anche una resa all’assurdità, non c’è mai un autentico tentativo di affrontare questa presa di coscienza e di dare un senso agli eventi fondamentali della vita.
La morte non gli suscita nulla, e lui sente che c’è qualcosa di sbagliato in questo, ma non prova semplicemente a fare nulla contro questa confusione.
Alla fine del romanzo, sparerà ad un uomo nel corso di una banale lite, ed il motivo per cui davvero arriva a farlo, è quasi per curiosità, per vedere la piega che prenderanno in seguito gli eventi.
Il libro termina con la sua condanna a morte, alla quale andrà in contro con la stessa apaticità con cui apprese all’inizio della morte della madre.
Non capisce autenticamente il senso della sua condanna, e continua sino all’ultimo a vivere la sua relazione col mondo come se fosse un ospite indesiderato, che alla fine viene rimosso.
Tra lui e il mondo si dà solo un’estraneità reciproca.
La maestria dell’autore starà nel non farci mai sentire una vicinanza con il protagonista, o una possibile simpatia.
Camus tra Kafka e Don Chisciotte
Merseau ricorda da vicino lo scarafaggio protagonista de La Metamorfosi di Kafka, il quale, svegliandosi in forma di scarafaggio, ha come prima preoccupazione quella che sarebbe arrivato tardi a lavoro, e che probabilmente ci sarebbero stati dei problemi col suo capo.
Le sue preoccupazioni sono ovviamente assurde.
Come può non porsi il problema che è diventato uno scarafaggio? I due scrittori sono accomunati da una sensibilità molto simile di fronte al mondo. L’uomo non sa come relazionarsi agli eventi e l’insetto di Kafka ne è una metafora.
La consapevolezza dell’Assurdo è quindi l’inizio della presa di coscienza. Tutti ci siamo sentiti sperduti e confusi davanti al dovere di dare un senso all’esistenza.
Ma il senso di confusione e smarrimento, non saranno mai un’autorizzazione a non prendere posizione, rispetto all’assurdo.
Nel finale de Lo Straniero emerge come la vera tragedia di Merseau sia l’attesa di un segno dall’esterno, che dia significato al mondo e a quello che gli è capitato.
Constatare l’assurdo non è la tragedia della vita: la vera tragedia è rifiutare l’assurdo e illudersi che la speranza possa esserci data da fuori.
Ma proprio togliendo al lettore ogni illusione, paradossalmente, Camus gli mostrerà anche la strada per giungere alla felicità. Il messaggio centrale è che la consapevolezza dell’assurdo ci deve spingere ad abbracciare la vita, non a rifiutarla.
Se la rigetteremo, ne saremo inevitabilmente sconfitti.
Se viceversa saremo in grado di darle un nuovo significato, di trovare un senso al nostro destino, allora avremo sconfitto la disperazione.
La vittoria non sta nel mutare i fatti, ma nel riuscire a cambiare la nostra prospettiva su di essi.
‘Cambia la visione della realtà, e cambierai la realtà stessa’: questo è il messaggio de Il Mito di Sisifo. Camus trae dall’Assurdo la voglia di vivere e di esser felice, anche se sembra assolutamente contro-intuitivo.
Un personaggio che riassume questo spirito leggero, che attrasse le simpatie di Camus e viene citato nel Mito di Sisifo è il Don Chisciotte di Cervantes.
Nell’ apparente tragedia della sua follia, il protagonista sceglie di diventare il cavaliere errante dei romanzi eroici che tanto amava. E così facendo, vive la vita che ha sempre sognato, piena di avventure e gesta eroiche.
Non cambia certo il mondo, che lo vede come un folle, ma cambia sé stesso rispetto al mondo incarnando il suo sogno e dandosi un nuovo senso.
Camus lo intende chiaramente come una metafora, ma al tempo stesso anche come il simbolo dell’eroe che ognuno di noi deve incarnare.
Don Chisciotte, matto tutta la vita, recupera la sanità mentale poco prima della morte e proprio in quel momento, avrà la possibilità di rendersi conto che nonostante la pazzia, ha vissuto esattamente la vita che ha sempre desiderato.
Così lo ricorda infatti il suo epitaffio:
Giace qui l’hidalgo forte / che i più forti superò, / e che pure nella morte / la sua vita trionfò. / Fu del mondo, ad ogni tratto ,/ lo spavento e la paura; / fu per lui la gran ventura / morir savio e viver matto.
About The Author: Camilla Stirati
Sono laureata in Filosofia Magistrale e ho lavorato per diversi anni come bibliotecaria e insegnante di italiano per stranieri.
Dopo l'università ho continuato ad approfondire con grande passione svariate tematiche legate alla filosofia, alla letteratura ed alla psicologia.
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