Avete agito in conformità al desiderio che vi abita?
Jaques Lacan

Il sacrificio è un concetto molto complesso, al quale in linea di massima nella vita quotidiana siamo abituati a dare un’accezione positiva. Nel pensiero comune, consiste infatti in un atto di coraggio o di perseveranza, individuale o collettivo, volto ad ottenere un bene superiore.

L’etimologia della parola è latina e si compone di due parole: sacrum e facere. Fare qualcosa di sacro, quindi.
I sacrifici nell’ antichità avevano infatti anche un aspetto legato strettamente alla religione: sacrificare animali, parte del raccolto o addirittura esseri umani aveva una valenza sacra poiché mirava ad ottenere la benevolenza divina in vista di un tornaconto personale.

Ciò che accomuna la concezione degli antichi con la nostra, resta il presupposto secondo il quale tramite un atto di sofferenza o penitenza venga ottenuto in seguito un beneficio superiore.

Massimo Recalcati nel suo libro Contro il sacrificio, espande ed analizza in profondità questo paradigma: la chiave morale ed escatologica in cui il pensiero cristiano ha interpretato il concetto di sacrificio, richiede all’uomo, secondo il modello dell’Imitativo Christi, il sacrificio di se stesso, in vista del raggiungimento della riconciliazione finale col Padre. Si tratta di uno scambio, quindi.

Massimo Recalcati_Contro il sacrificio

La legge del Super Io

Traducendo questo concetto in una grammatica psicoanalitica, la volontà divina che invita all’ Imitatio Christi, è assimilabile al Super-Io freudiano, ovvero una serie di inflessibili regole imposte dalle convenzioni esterne che obbligano all’obbedienza.

Il rispetto di queste regole implica la mortificazione dei propri desideri più profondi in cambio della sicurezza garantita dall’ integrazione in una società civile organizzata.

Questo meccanismo non arriva mai tuttavia alla completa soppressione del desiderio di godimento, il quale, impossibilitato ad esprimersi liberamente, si sublima nello scambio tra i concetti di godimento e sacrificio.
Cosa comporta questa inversione? Comporta che il sacrificio si trasformi paradossalmente da mezzo a scopo della pulsione di godimento finale. Diventa in altre parole, un masochistico piacere di auto mortificazione, senza obiettivi ultimi da perseguire.

Il soggetto sacrificale, facendo questo, pone se stesso al completo servizio della Legge, liberandosi così dal peso della sua stessa libertà.

É ciò che accade nei totalitarismi, dove un leader carismatico incarna i tratti collettivi del Super-Io individuale e trasforma appunto il sacrificio nella mèta della pulsione.
L’adesione a questo modello sottintende una visione colpevolizzante dell’esistenza sotto ogni punto di vista.

Il piacere della sofferenza è una caratteristica unicamente umana, il mondo animale non conosce il concetto di sacrificio ma solo quello di istinto. Ciò non toglie naturalmente che un animale sia perfettamente in grado di amare ed arrivare a sacrificare la sua vita, come ad esempio potrebbe fare un cane per il suo padrone. Ma si tratta in questi casi di un amore completo ed incondizionato, che si sovrappone totalmente all’istinto.

L’animale che sacrifica se stesso non si aspetta un tornaconto dalla sua buona azione, che viene compiuta comunque in senso extra morale.
La Natura non conosce concetti come bene e male, giusto o sbagliato.

La morale secondo Nietzsche

Nietzsche ha analizzato a fondo questa nozione: la figura del cammello di cui parla nello Zarathustra, rappresenta la visione distorta che l’uomo ipermorale ha del sacrificio: un’esasperata obbedienza all’imperativo categorico kantiano, che non tiene minimamente conto di nessuna contingenza.

Il cammello non è infatti in grado di affermarsi in nessun modo, riesce a vivere solo se sottoposto alla Legge del Sacrificio e delegando ad essa tutta la sua libertà. Si tratta di un’esistenza che umilia sé stessa.

Ma come può il cammello – inteso come categoria umana – arrivare ad amare le proprie catene?

Questo aspetto viene sottolineato successivamente anche da Deleuze. La sconfinata esperienza della libertà, come sottolinea Recalcati, è piena di insidie. Richiede molto coraggio. La Legge restringe il campo di azione della vita, ma al tempo stesso la salvaguarda da ogni pericolo. La libertà invece porta con sé un senso di smarrimento e vertigine.

Massimo_Recalcati

Dal punto di vista psicoanalitico, il cammello è assimilabile ad un bambino spaventato che affida sé stesso al Padre idealizzato della prima infanzia (trasfigurato poi in Dio), che lo guida e gli dà delle regole, senza lasciargli tuttavia possibilità di replica. Il cammello senza libertà non è felice, ma ha la garanzia di una vita sicura.

Questa continua automortificazione, genera un rancore malcelato, un’invidia di fondo verso coloro che invece compiono la coraggiosa scelta della libertà e della soddisfazione degli impulsi vitali. Si tratta di un odio reattivo, che fa della sua passività malata la sua forza. Nietzsche nella sua Genealogia della morale, mette chiaramente in luce come nasce questo circolo vizioso.

Il soggetto vittima di questo meccanismo, conduce una vita sterile, basata sull’invidia e sul risentimento, che anziché farsi carico della responsabilità del proprio malessere, ne delega sempre al di fuori di sé la responsabilità. La vita così intesa, viene percepita essenzialmente come colpa, in quanto l’uomo si ritrova sin dalla nascita il peso del peccato originario.

Impostare la propria vita nell’ottica del sacrificio, in senso psicanalitico significa quindi saldare il proprio “debito di esistenza” di fronte a Dio, al Padre originario o all’istanza psichica del Super-Io di cui parla Freud.

Il principio di responsabilità secondo Kierkegaard

Ma esiste anche un’altra ottica, un modo completamente diverso di vivere il concetto di sacrificio.
La responsabilità cristiana del sacrificio presentata da Kierkegaard e Derrida nella vicenda di Isacco, presenta l’immagine di un Desiderio che agisce in modo conforme alla Legge senza che viga un riscatto finale.

Qui la configurazione del dovere e dall’agire assumono la forma stessa del desiderio.

Nel pensiero kierkegaardiano, quando Dio chiede ad Abramo di sacrificare suo figlio, Abramo si trova in un’impasse: se lo sacrifica, contravviene la legge etica. Se non lo sacrifica, contravviene la legge religiosa.
Abramo non ha più valori universali di riferimento a cui affidarsi. Ognuna delle due strade lo porta ad una trasgressione. Nella sua decisione finale non c’è quindi un calcolo o un beneficio atteso, è un atto gratuito che si assume in pieno la propria responsabilità.

Si pone al di là del concetto stesso di sacrificio. Un dono incondizionato di sé all’Altro e che proprio per questo sospende la volontà divina di sacrificio e debito.
In senso psicanalitico, vuol dire considerare il desiderio e l’azione come pura responsabilità etica del soggetto, disfacendo l’utilitarismo implicito nel sacrificio.

Personalmente, sento risuonare un’eco dell’antica morale greca, che vede nell’etica una legge che deve guidare l’agire umano e che rappresenta il massimo dei beni possibili da acquisire senza altro tornaconto che la virtù stessa.
Poichè involontario è ciò che si compie per costrizione e per ignoranza, si converrà che volontario è ciò il cui principio risiede nel soggetto, il quale conosce le condizioni particolari in cui si svolge l’azione” sottolinea Aristotele nella sua Etica Nicomachea. “La virtù e la malvagità dipendono soltanto dall’individuo, il quale è libero di scegliere in quanto è il padre dei suoi atti come dei suoi figli”.

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