“L’etica non è esattamente la dottrina che ci insegna come essere felici, ma quella che ci insegna come possiamo fare per renderci degni della felicità.”
Immanuel Kant
La morale kantiana è considerata una delle forme più nobili che la filosofia abbia mai elaborato riguardo l’agire umano.
Intransigente ma condivisibile, richiama subito alla memoria la massima biblica del non fare ad altri ciò che non desideri venga fatto a te.
Per chiunque studi filosofia, Kant rappresenta uno scoglio contro il quale bisogna scontrarsi, il suo linguaggio è complesso, come lo sono i percorsi logici che compie nelle sue grandi Critiche.
Ma indubbiamente ciò che apre a livello di pensiero è una visione dell’uomo e del concetto di ragione da cui è impossibile prescindere.
La morale è la tematica della sua seconda Critica, detta della Ragion Pratica.
Indice
Giustizia e Giurisprudenza
Prima di definire in cosa consiste la morale, vediamo come è cambiato e che significato ha assunto nel tempo l’idea di giustizia, ovvero quella formulazione del giusto agire codificato tramite delle leggi, la cui forma più nota oggi è racchiusa nell’ attuale disciplina della Giurisprudenza.
“Giurisprudenza” è un termine derivante dalla lingua latina –prudens iuris: esperto del diritto- e si occupa di studiare il diritto e la sua interpretazione. In senso più ristretto, il termine indica l’insieme delle sentenze e delle decisioni attraverso cui gli organi giudicanti di uno Stato interpretano le leggi, applicandole poi ai singoli casi concreti.
Molte delle regole applicate in Giurisprudenza, derivano dal Diritto Romano: nessun codice infatti ha completamente rotto i collegamenti con questa tradizione.
La conoscenza di tale diritto, rimane quindi indispensabile per capire i sistemi giuridici contemporanei.
Parlando di Diritto Romano, si fa particolare riferimento Corpus Giustinianeo, ovvero la raccolta di materiale normativo e giurisprudenziale voluta da Giustiniano I per riordinare il sistema giuridico dell’impero bizantino.
Ha rappresentato per secoli la base del diritto comune europeo, sino agli inizi del XIX secolo.
In questo testo monumentale confluiscono tutta una serie di influenze, comprese quelle della tradizione giudaico-cristiana che in quegli anni continuava ad accrescere la sua fama e i suoi proseliti.
Al di là di quello che dice la legge, anche il nostro sistema etico e morale non prescinde da questa influenza, in quanto deriva dal contesto in cui siamo nati e cresciuti e nel quale siamo stati educati.
Il pensiero antico e la morale giudaico-cristiana
L’ Occidente conosce sostanzialmente due morali: quella giudaico-cristiana e quella proveniente dal pensiero greco.
Ma è attorno alla prima che si è organizzato il nostro ordine giuridico.
Volendo analizzare il sistema etico e morale contenuto al suo interno, potremmo definirlo come una morale dell’intenzione, un concetto molto lontano da ciò che è stata la moralità in senso greco.
Cosa significa sostanzialmente?
Significa che il giudizio di innocenza o colpevolezza si riferisce all’intenzione di colui che compie l’azione. I tribunali infatti giudicano:
- colposo l’omicidio di colui che non aveva intenzione di uccidere
- colpevole se a priori ne aveva l’intenzione
- intenzionale se aveva anche solo preso in considerazione l’ipotesi di compierlo
C’è quindi tutta una logica che si basa sull’intenzione, che in ambito religioso si chiama peccato e in ambito giuridico reato.
Nella realtà dei fatti, tuttavia, questa casistica non cambia il fatto concreto, ovvero il danno che a prescindere dalle intenzioni qualcuno ha subito. Per esempio, le intenzioni degli scienziati che crearono la bomba atomica, per quanto volte al progresso della scienza, hanno portato nella pratica ogni sorta di atrocità.
Nell’ordine della vita pratica quindi, potremmo dire che conta l’effetto di una decisione, non l’intenzione che aveva alle origini. L’etica che insiste sul giudizio morale delle intenzioni e prescinde dai fatti, è comprensibile in molti casi ma sostanzialmente inadeguata in altri.
Etica e giudizio morale
Promuovendo questo tipo di etica si pongono quindi degli interrogativi.
Per quel che riguarda l’etica in ambito scientifico, è giusto ad esempio presupporre che tutto ciò che è possibile fare, vada necessariamente fatto?
Il giudizio della colpa morale nel pensiero greco antico si esprimeva in tutt’altro modo.
In questa prospettiva, ciò che veniva giudicato, non era l’intenzione di chi compie qualcosa di sbagliato, bensì il risultato pratico dell’azione. Colui che agisce doveva, cioè, anche essere sempre pronto ad assumersi le sue responsabilità, indipendentemente dalle intenzioni che lo avevano motivato.
Nel mito di Edipo, ad esempio, pur senza saperlo il protagonista si macchia di un peccato gravissimo, sebbene avesse fatto di tutto per agire in modo virtuoso. Gli dei lo puniranno mandando carestie e sofferenza al popolo di Tebe, di cui Edipo era re, poiché la colpa era qualcosa che non poteva restare impunita a prescindere dalle intenzioni di chi agiva.
Noi, invece, cresciuti secondo la morale cristiana, siamo portati a pensare che uno dei compiti della religione sia quello di dare all’uomo delle regole morali.
In parte molte delle regole dei Dieci Comandamenti sono certamente condivisibili, ma oltre all’etica cristiana, esiste un’altra categoria di etica: quella laica, che prescinde dall’esistenza di Dio.
L’uomo è sempre stato in grado di darsi delle regole per gestire il vivere comune, indipendentemente dalla religione di riferimento, e queste regole non sono certo qualcosa di immutabile.
Sostanzialmente la loro funzione è quella di ridurre la conflittualità tra gli uomini, perché questa paralizza la società e non porta beneficio a nessuno. La pace invece è vantaggiosa per tutti.
Connettere, quindi, necessariamente etica e religione è scorretto, poiché presupporrebbe che chi non è religioso non fa uso di un codice morale.
La morale cristiana potrebbe essere definita come finalistica ed eteronoma.
Eteronoma perché si basa su un sistema di regole esterno all’uomo dato da Dio e finalistica perché si basa sostanzialmente sul principio se/allora (se voglio andare in Paradiso allora devo seguire le regole).
Il pensiero kantiano
Come si pone Immanuel Kant davanti a questo genere di etica?
Kant è un illuminista, che basa il suo pensiero sulla facoltà di ragione e condanna una morale esterna come sistema regolativo umano.
Quindi condanna anche la morale cristiana, in quanto è valutata come un calcolo delle utilità.
Se il cristiano compie il bene per la ricompensa eterna, la sua è un’etica utilitaristica, che ha fondamento non nella decisione morale, ma nella logica della punizione o del premio.
L’etica religiosa diventa quindi una procedura tecnica: se voglio raggiungere uno scopo, devo applicare determinati mezzi.
La morale
Ma cosa sostiene invece la morale kantiana?
Il rigore del suo pensiero è talmente intransigente che arriva ad affermare la necessità di prescindere addirittura dalla soddisfazione personale, perché fare il bene per sentirsi bene rientra nelle azioni tecniche e non etiche.
Per Kant l’etica è fondata sul presupposto che difficilmente gli uomini riusciranno a metterla in pratica a tutti gli effetti, ma nonostante ciò è importante che questa funga da idea regolativa: va tenuta a mente come una stella guida, anche se poi non si sarà in grado di realizzarla.
Deve essere l’intenzione che indirizza l’azione e tale intenzione non dev’essere volta ad un fine utilitaristico, ma ad un fine giusto in sé e per sé.
Secondo Kant i principi di bene e male sono qualcosa di intrinseco all’uomo, qualcosa che egli dovrebbe naturalmente avvertire.
Passando direttamente alla Critica della Ragion Pratica, l’opera dedicata alla morale, si nota come la ragione non serva solo a conoscere ma anche ad agire, a capire cioè quale genere di vita dobbiamo intraprendere.
Esiste, nell’ottica kantiana, una dimensione esperienziale pratica e una dimensione invece unicamente pratica.
Questo significa che anche quando facciamo una scelta morale, riguardo cosa è bene e cosa è male, interviene qualcosa di a priori, di puro, e qualcosa invece a posteriori, frutto dell’esperienza.
Nella vita quotidiana l’uomo erroneamente si basa troppo sull’esperienza, e troppo poco sulla sua conoscenza a priori.
Quando scegliamo come agire, il più delle volte lo facciamo sulla base dell’esperienza e non secondo dei principi innati, già presenti dentro di noi e deducibili per via razionale.
Questo è un problema, perché così facendo significa che non abbiamo leggi universali che guidano il nostro agire.
Caratteristiche della legge morale
La legge che guida l’azione, per Kant, deve essere universale e avere tre caratteristiche:
- essere formale, nel senso che deve dirci come capire cosa è giusto fare.
Le forme a priori dell’intelletto di cui parla nella Critica della Ragion Pura, sono secondo Kant come delle caselle prive di contenuto, che riempiamo a posteriori con il caso particolare che l’esperienza ci fornisce.
Questa caratteristica formale si ritrova anche nella legge morale, perché non è un insieme di precetti, ma una sorta di algoritmo, di formula vuota che indica come agire.
- essere incondizionata, ovvero non condizionata dall’esperienza, ma solo dalla facoltà razionale che permette all’uomo di trovare in sé la legge morale.
- essere categorica, ovvero deve avere la forma del ‘tu devi’.
Deve inoltre ammettere la libertà, perché se non c’è libertà di scelta, non avrebbe senso parlare né di colpa, né di merito.
La libertà è la condizione grazie a cui esiste la moralità.
Mancano di proposito i contenuti: quelli bisogna ricavarli dal mondo, trovando il modo di applicare il generale al caso particolare.
Per Kant è la ragione che deve guidare l’uomo, il quale deve emanciparsi dalle dottrine che trasmettono regolamenti eteronomi.
Il compito di trovare la legge universale è sempre difficile, perché è una lotta tra volontà, ambizioni e desideri da un lato, con la legge che stiamo cercando di seguire dall’altro.
L’uomo non sarà mai eticamente perfetto, è sempre in conflitto tra essere e dover essere.
Ad essere veramente morale è solo l’intenzione disinteressata con cui compiamo l’azione (è una morale deontologica – legata al senso del dovere).
Se ad esempio si compie un gesto di beneficenza per avere fama, sebbene la beneficenza sia in sè un atto buono, diventa egoistico poiché ciò che muove è un fine di auto gratificazione.
La morale di Kant, ci spinge ad assumere prima un’intenzione e poi un comportamento. Dobbiamo essere legati al puro senso del dovere, anche se questo potrebbe condurre al non essere felici.
Conclusioni
Difficile per noi oggi concepire l’idea di adottare un codice morale che abbia come clausola una promessa di infelicità o comunque di insoddisfazione.
Un tema molto discusso nella storia del pensiero, è stato non a caso quello della felicità e di come questa fosse il fine ultimo a cui tutti gli uomini aspirano.
Nonostante ciò, per quanto difficilmente applicabile possa apparirci oggi la morale kantiana, non possiamo evitare di sentirne il fascino, la nobile profondità che emana e che in qualche modo riesce comunque a renderla bella, anche se malinconicamente lontana da ciò che sono i nostri desideri.
Nella seconda parte dell’articolo, verrà esplicato più nel dettaglio il contenuto della Critica della Ragion Pratica, e come Kant ha risposto alle contraddizioni che ne sono emerse.
About The Author: Camilla Stirati
Sono laureata in Filosofia Magistrale e ho lavorato per diversi anni come bibliotecaria e insegnante di italiano per stranieri.
Dopo l'università ho continuato ad approfondire con grande passione svariate tematiche legate alla filosofia, alla letteratura ed alla psicologia.
More posts by Camilla Stirati