Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, giornalista, ricercatrice, scrittrice, blogger, voce radiofonica e “invalida leggermente arrabbiata”, Fiamma Satta è tutto questo e molto altro.
Con il suo libro Io e lei. Confessioni della Sclerosi Multipla (Mondadori 2017) alza il velo sull’ ipocrisia, che spesso copre la malattia, e rende quest’ultima la protagonista del romanzo con uno stile sagace e irriverente.

In questa intervista, che ci ha regalato, racconta come la malattia sia anche un’opportunità di crescita e di conoscenza di sé. Dalle sue risposte si può cogliere quanto ci sia di filosofico in un’esperienza come la sua, tra domande e ricerca di senso.
Buona lettura!

Fiamma Satta_Intervista Officina filosofica

Credit foto: Gianmarco Chieregato

1. In un articolo del suo blog “Diversamente Aff-abile”, parlando della sua esperienza con la Sclerosi Multipla, chiama in causa la filosofia quando dice “Importante è acquisire gli strumenti utili nel percorso, per esempio la conoscenza di se stessi e dei propri limiti (γνῶθι σεαυτόν), concetto sul quale la filosofia ha battuto e ribattuto”, quali sono i limiti a cui si riferisce?

La conoscenza di se stessi è fondamentale nel percorso esistenziale di ognuno di noi, malato o non malato, perché solo conoscendo il nostro “territorio” possiamo confrontarci con i territori degli altri, possiamo aumentare la nostra capacità comunicativa, possiamo allargare il nostro sguardo comprensivo, possiamo ridimensionare la tendenza tipicamente umana a sentirsi il centro dell’universo. Questa preziosa osservazione di sé implica la consapevolezza anche dei lati più scomodi, fragili, difficili e in ombra della nostra personalità. Chi li ignora, chi ignora tali limiti, è destinato a rimanere monoliticamente isolato dal resto del mondo e, soprattutto, a temere i grandi e inevitabili limiti che la vita impone (malattie, vecchiaia, morte).

2. “Sono dentro di lei. Capite? Sono dentro di lei più di qualsiasi altro. E lei non dovrebbe dimenticarlo mai”, con queste parole la SM racconta ai “lettori miserrimi”, nel suo libro Io e lei. Confessioni della Sclerosi Multipla, il rapporto che avete stretto in maniera indissolubile. Accogliere dentro di sé la SM non è stata una scelta, come si può creare una relazione quando alla base c’è un’imposizione?

Mi è rimasto impresso lo slogan di un bellissimo film della regista indiana Mira Nair, The namesake (Il destino nel nome – 2006): “Ama chi sposi, non sposare chi ami”. Parafrasando il concetto con le dovute cautele, infatti, posso considerare la mia relazione a vita con la SM come un matrimonio combinato. Nessuno sceglie, infatti, di legarsi a vita con la SM, e certamente nessuno vorrebbe legarsi a vita nemmeno a un raffreddore, ma tale indesiderata unione viene imposta dal caso, dal destino o da qualsiasi altra cosa che prescinde la propria volontà. Conviene quindi renderla vivibile, conviene accettare la malattia e imparare a conoscerla bene, anche nei suoi punti deboli, per poterla combattere adeguatamente, e conviene mantenere integra la propria identità per non trasformare la SM in una padrona assoluta della propria vita.

3. In un’intervista lei ha affermato che “la mancata accettazione del male fa più male del male stesso” dopo aver raccontato di aver passato molti anni a negare e a far finta che questa malattia non ci fosse. Secondo lei esiste una differenza fra accettazione e rassegnazione?

Accettare una malattia non significa rassegnarsi ad essa. Quando si riesce a compiere il difficile percorso di accettazione di una malattia, infatti, significa che, in un modo o nell’altro, si è disposti a combatterla. E combattere una malattia è attività ben lontana dal rassegnarsi ad essa. Secondo me, il concetto di rassegnazione potrebbe diventare interessante solo quando intenda che il malato “fa pace” con l’idea di esserlo, non si tormenta chiedendosi in continuazione “perché è capitato proprio a me?” e soprattutto non ritiene la malattia un fallimento della propria vita. La malattia fa parte delle molteplici eventualità che la vita ci propone: accettiamola e combattiamola “rassegnandoci” alla vita.

4. Lei definisce “scendere in cantina” il suo percorso esistenziale con la malattia. A che punto della scala si sente di essere?

Sono entrata in cantina! Come avrei potuto scrivere un romanzo come IO E LEI, se non mi fossi spinta fin laggiù? Ho provato una paura tremenda, scoraggiamento, delusioni, solitudine, ansia, dolore, ma a furia di rovistare per cercare un poco di luce l’ho trovata. E ho anche scoperto che in cantina c’è tanto di me che non sapevo di avere, per esempio la forza per superare tutto questo.

5. La SM è una malattia neurodegenerativa che modifica l’io non solo per quanto riguarda la condizione fisica, ma anche, e soprattutto, la personalità e le abilità cognitive. Le è mai capitato di non riconoscersi dopo l’arrivo della SM, di sentirsi altro da ciò che era stata fino a quel momento?

No. Però, negli anni successivi alla diagnosi ho avuto dei momenti di profondo scoraggiamento in cui non riuscivo più a credere nelle mie capacità e nelle mie possibilità lavorative. Li ho più o meno superati. Capitano anche ora momenti fragili ma sono di breve durata e lieve intensità.

6. Entriamo nel campo dell’etica. Da giornalista e da persona affetta da SM, come giudica la legge approvata, dopo un travagliato iter, sulle disposizioni di fine vita?

Non dimentico mai che, nonostante la SM, ho una vita bellissima e fortunata perché rientro in quella parte privilegiata di mondo che mangia, beve e dorme senza troppi problemi, ha accesso alla scuola e ai farmaci, e ha un tetto caldo dove riposare. Sono consapevole, però, che la SM potrebbe riservarmi un fine vita non particolarmente piacevole e sono grata alla legge finalmente approvata perché mi consentirà di evitare inutili accanimenti e di scegliere di morire con la dignità con cui ho sempre cercato di vivere.

7. Che “pensiero filosofico” si sente di esprimere ai lettori del nostro blog?

La vita può essere semplicemente meravigliosa, anche con una grave malattia invalidante come la SM addosso. Vale la pena viverla con dignità e, per quanto possibile, con la curiosità di scoprire quale regalo ogni giorno ha in serbo per noi.

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