L’immortalità è il concetto di sopravvivere all’infinito senza affrontare la morte o superando la morte stessa. Essere immortali significa poter provare qualsiasi tipo di esperienza senza la paura di morire e vivere la propria vita senza essere schiavi del timore della morte.
Chi rinuncerebbe mai dinanzi all’offerta di diventare immortali?

Fin dai tempi antichi l’uomo ha riflettuto sul tema della morte del corpo e sulla possibilità che la vita non finisca con essa. Non potendo negare la morte corporale dell’individuo si dovette ipotizzare l’esistenza di una realtà ulteriore e complementare a quella, in cui all’anima fosse concesso il privilegio dell’immortalità.
La possibilità che l’anima potesse sopravvivere al corpo nell’eternità ha stimolato il pensiero filosofico occidentale fin dall’antichità ed è stata oggetto di riflessione di pensatori, intellettuali e scienziati.
Il dibattito si è svolto non solo sul terreno filosofico ma essendo un argomento che riguarda l’uomo in tutto il suo essere ha spirato anche l’opera di scrittori e poeti italiani e stranieri.

croce cimitero_immortalità

Il tema dell’immortalità nella filosofia...

I primi tentativi di dimostrazione filosofica rigorosa dell’immortalità dell’anima si ritrovano in Platone che torna sull’argomento in vari dialoghi utilizzando diversi mezzi di dimostrazione. L’anima proprio perché non è costituita di materia, può guardare il mondo delle Idee. Per Platone l’anima è esistita prima che prendesse dimora in un corpo.
Un tempo l’anima era nel mondo delle Idee. La dottrina della reminiscenza rivela un intimo rapporto fra l’anima e le Idee; l’anima si manifesta capace di esistere senza il corpo il quale le è più di impedimento che di aiuto nella ricerca della verità che deve perseguire sola con se stessa.
Una particolare importanza storica ha avuto, anche nei riguardi di questo problema il criticismo di Kant. Dal punto di vista della ragione Kant riteneva che tale problema fosse insolubile, come insolubili erano per lui tutti i problemi metafisici, riguardanti non il fenomeno, ma la cosa in sé, inaccessibile all’umana conoscenza.
Nel 1788 venne pubblicata la Critica della ragion pratica dove è contenuta la riflessione più completa ed elaborata riguardo l’immortalità.
La ragione nel suo uso pratico fa necessariamente postulare l’immortalità dell’anima perché senza di essa sarebbe inconcepibile quel progresso morale indefinito che comunque l’uomo deve proporsi come scopo principale del suo agire.
Non essendo raggiungibile in nessun momento del tempo, per la volontà umana, quella santità assoluta e definitiva che è propria della volontà divina, essa ha bisogno di continuare a sforzarsi per migliorare nell’indefinito del tempo futuro.
L’immortalità deve quindi essere creduta con un atto di fede razionale pratica.

...e nella letteratura

Tra i letterati italiani Ugo Foscolo con il carme Dei sepolcri ha prodotto forse il testo più rappresentativo di una riflessione teorica e politica sul concetto di morte e immortalità.
Il pensiero di Foscolo parte da una concezione di tipo materialistico illuminista per arrivare poi ad un suo superamento.
Nella prima parte dell’opera l’autore vede la morte come un momento di un ciclo naturale di continua trasformazione in cui la materia di un essere disgregandosi fa formare altri esseri: la morte è distruzione totale dell’individuo e non lascia possibilità di sopravvivenza.
Queste convinzioni di tipo materialistico illuminista che escludono ogni idea di immortalità sono sostenute dal poeta con l’atteggiamento disilluso di chi deve rassegnarsi dinanzi ad una verità amara quanto inevitabile.
Il materialismo settecentesco viene superato da Foscolo, non sul piano teoretico con una proposizione di nuovi principi filosofici, ma sul piano pratico grazie alle illusioni.
L’immortalità viene intesa da Foscolo come una sopravvivenza dopo la morte e non come assenza di essa.
Ciò che è impossibile alla ragione avviene grazie all’illusione.
L’immortalità dell’individuo è affidata alle tombe: l’uomo può illudersi di continuare a vivere anche dopo la morte poiché la tomba mantiene vivo il ricordo e costituisce un rapporto affettivo con i familiari e gli amici.
Anche la poesia ha una funzione definita eternatrice: se le tombe nel compito di vincere l’opera distruttrice della natura e del tempo che tutto trasforma, in quanto oggetti materiali, sono sottoposte anch’esse a quest’opera di distruzione, la funzione di rendere una persona eterna sarà raccolta della poesia.

Esiste un’opera forse meno conosciuta nel panorama della letteratura italiana dell’autore Cesare Pavese I dialoghi con Leucò che contiene al suo interno il dialogo intitolato L’isola tra Odisseo e la ninfa Calipso incentrato proprio sul tema dell’immortalità e dove vi è una profonda riflessione sul valore del tempo per l’essere umano.

Tutti sanno che Odisseo, sulla via del ritorno verso Itaca, restò nove anni nell’isola di Ogigia, dove non c’era che Calipso, l’antica dea.

Lei gli offre l’immortalità, lui dimostra il suo attaccamento alla terra natia e agli affetti e decide di partire.
Calipso gli mostra la bellezza del luogo, gli promette una vita senza fine: è innamorata e ha paura di perdere l’amato. Farebbe di tutto per convincere Odisseo a restare sull’isola.
E la ninfa rivela:

“Di morire non spero. E non spero di vivere. Accetto l’istante. Voi mortali vi attende qualcosa di simile, la vecchiezza e il rimpianto.
Immortale è chi accetta l’istante.
Chi non conosce più un domani”.

Calipso vive senza tempo accettando l’istante.
Per Odisseo il tempo esiste perché vi mette speranze ed emozioni, cioè il senso della vita.
Odisseo non teme la morte perché alla fine del suo tempo egli avrà vissuto e rinuncia all’immortalità perché il desiderio di tornare a casa è più forte.
Sceglie di conservare la sua identità di uomo. Con l’immortalità diventerebbe immutabile, statico, lontano dagli uomini.
Odisseo lasciando Calipso sceglie la condizione umana e con consapevolezza accetta totalmente i limiti della propria natura.

Il fatto di essere invincibili è sicuramente qualcosa che attira l’uomo, però se si pensa alle innumerevoli sofferenze che dovremmo provare in seguito alla morte di molte persone a noi care, l’immortalità assume anche degli aspetti negativi.
Un rischio per l’uomo potrebbe essere quello di pensare di avere un tempo infinito a disposizione di conseguenza non impiegarlo al meglio.
Dunque, vivere o semplicemente esistere? È la qualità della vita che forse dovrebbe preoccupare noi uomini, il rischio di una vita non vissuta, più che la sua quantità.

*Prossimamente verrà pubblicato l’articolo “Laboratorio sull’immortalità” svolto con i ragazzi della Scuola Secondaria di I grado riguardo a questo tema, in cui è stato utilizzato il film “Tuck Everlasting – Vivere per sempre” (2002 regia di Jay Russell) come spunto di riflessione iniziale.

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