Chiara Sinchetto ama alla follia leggere e fare ricerca, ma nel momento in cui si immagina chiusa in una stanza a scrivere e studiare si sente avvizzire. Si definisce “recidiva in filosofia” perchè non contenta di aver incontrato questa materia al Classico, ha conseguito ben due lauree in questo ambito, una a Torino e l’altra a Ginevra.
Grazie alla libera professione ha capito di avere bisogno e attitudine al rapporto con gli altri, per questo ha progettato diversi percorsi innovativi in cui ha unito sapientemente il potere terapeutico dei romanzi con la cura di sè.

Chiara Sinchetto

Ph Matteo Pettenuzzo

1. Hai un percorso formativo e professionale sicuramente originale. Hai incontrato la filosofia, la letteratura e persino la finanza, ci racconti com’ è nata l’idea di creare i tuoi percorsi “per aiutare le persone a sgranchire il cervello”?

Ho sempre amato da matti leggere e scrivere e ho scoperto di avere una propensione alla filosofia da quando l’ho incontrata per la prima volta al Liceo.
La finanza ha rappresentato per me una sfida e un primo campo di applicazione e ricaduta pratica, dal momento che ne ho presto scoperto la vena più filosofica e umanistica che applicavo nei miei percorsi precedenti.
Quello che faccio oggi rappresenta ciò che avrei sempre voluto fare senza sapere che forma potesse avere.
Ci immaginiamo la vita che verrà dopo gli studi molto più lineare di quanto non sia poi nei fatti: io avevo ben chiaro cosa amassi e praticassi da sempre, un po’ meno in cosa fossi brava a trasformarlo.
Mi ci sono voluti degli anni in cui ho lavorato su altro per capire che ciò che volevo era aiutare le persone a scavare dentro di sé attraverso prodotti culturali come i romanzi.
Unendo a ritroso tutti i puntini mi è venuto naturale tornare al mio amore e ai miei studi mai abbandonati su romanzi e letteratura, unendoli alla filosofia e alle competenze acquisite nella creazione di percorsi.
Guardo al mondo con curiosità e credo che proprio nei libri ci sia la chiave per mantenersi sani in un mondo che spesso ci sembra impazzito – o almeno, a volte è così per me – e non posso che mettere a frutto la mia naturale tendenza a fare collegamenti infiniti tra le storie aprendomi agli altri.
Così, nei miei percorsi unisco componenti filosofiche e di promozione della lettura facendo scoprire generi e autori nuovi e faccio dialogare tutto questo con la Libroterapia umanistica.

2. Sei appunto anche Facilitatrice in Libroterapia umanistica, in cosa consiste questo lavoro e come sei riuscita ad integrare la filosofia in questa professione?

La libroterapia può essere tanto clinica, al servizio della psicoterapia e con obiettivi collegati, quanto umanistica, svolta in contesti e da professionisti non nell’ambito della cura. Con la psicologa, psicoterapeuta ed esperta in Libroterapia Rachele Bindi siamo così partite dalla mia visione filosofica per costruire il percorso formativo.
È una metodologia che, attraverso la lettura guidata, sottoponendo domande che portino a scavare dentro di sé, aiuta il lettore ad approfondire la propria visione del mondo e ad essere consapevole di chi è, in rapporto agli altri.
La filosofia spinge a cercare il senso, a chiedersi sempre il perché: così, propongo ai lettori dei libri adatti ai loro gusti e a ciò di cui vogliono andare alla ricerca e da lì partiamo insieme per scavare, attraverso domande guidate e la riflessione sui personaggi e su diversi aspetti della storia.

3. È evidente il tuo amore smisurato per il genere horror e fantasy. Hai dedicato molte riflessioni ai grandi maestri in questo campo, sottolineando l’aspetto terapeutico che questi romanzi possono avere. Ci spieghi in che modo questo genere di libri può aiutare le persone a venire in contatto con il proprio lato oscuro?

I romanzi di paura ci aiutano ad entrare in contatto con il nostro lato oscuro in molti modi:

  • Prima di tutto, non prendendo la questione di petto. L’horror possiede in fondo una giocosità che ci riporta alla nostra infanzia, ha un potere liberatorio che, nel suo rompere i confini conosciuti e ribaltare ogni cosa, ci spinge a tirar giù la maschera, esponendoci alle nostre fragilità. La paura è un sentire collegato alla nostra infanzia anche perché da piccoli la nostra immaginazione è meno imbrigliata e ci immaginiamo pericoli ovunque, provando il brivido e il piacere dello spavento stando al sicuro, brivido che ritroveremo da grandi negli horror e che ci toglierà le responsabilità dalle spalle, facendoci ricordare com’era bello spaventarsi.
  • È un genere che più di altri ci mette di fronte al tabù della nostra mortalità, ciò che di più oscuro possiamo immaginare.
  • È liberatorio, catartico: «esprime in modo simbolico le cose che abbiamo paura a dire apertamente: ci dà la possibilità di esercitare quelle emozioni che la società ci impone di tenere sotto controllo» (S. King, Danse Macabre).
  • La finzione ci consente, come dice Carola Barbero nel suo “La biblioteca delle emozioni”, di provare paura con e per i personaggi e piacere per la struttura narrativa dell’opera.

Così, spinti da questo vantaggio, siamo portati ad allenare un’emozione a costo zero per noi, senza metterci in mezzo in prima persona come dovremmo fare nella realtà, fortificandoci per quando incontreremo la paura nella nostra vita di tutti i giorni, facendo esperimenti proprio grazie ai romanzi.

Ph Matteo Pettenuzzo

4. Da filosofa non potevo lasciarmi sfuggire il tuo percorso sul Perturbante che hai lanciato a Novembre. Nella tua presentazione scrivi che “partiamo dai romanzi anche per fare filosofia, ponendoci domande, problematizzando”. Raccontaci cosa fate e quali sono le domande che stanno più a cuore ai tuoi clienti.

È un percorso che ho sentito come una missione: far scoprire figure femminili che, nella finzione di romanzi e film, hanno trovato la propria dimensione fiorendo in contesti decisamente poco consueti. Al contatto con il soprannaturale, che irrompe quasi mai cercato consapevolmente, emergono così parti di sé lontane, dolorose, rimosse e stranamente familiari.
Abbiamo già, nei primi incontri, letto insieme alcuni romanzi: partiamo da una lettura comune per scavare, con il confronto che sollecito con domande sui personaggi, nel sentire personale di ogni partecipante che entra in relazione con quello delle altre.
Partiamo dai romanzi per interrogarci su ciò che sta loro a cuore: la propria visione sul mondo e sull’uomo, cosa sia la felicità e perché i personaggi la trovino in contesti così diversi.

5. È attivo da un anno il tuo servizio “Coraggio non significa non avere paura – Percorso per lanciarsi”. Che cos’è per te il coraggio? Puoi farci degli esempi di protagonisti coraggiosi che hai conosciuto nei romanzi?

Lo dico senza ombra di retorica: per me, essere sé stessi è la cosa più coraggiosa.
Sono una persona empatica e sensibile mio malgrado: non lo dico per incensarmi, in passato non lo vivevo in maniera positiva, non è stato sempre per me ovvio “farmi vedere”, mi sono spesso sentita diversa proprio per questo essere me stessa che a volte veniva anche scambiato per altro, forse snobismo, visto che ero anche timida.
La filosofia e gli innumerevoli romanzi che ho letto mi hanno salvato, come dico sempre: avrei potuto ripiegarmi su me stessa, e invece con l’età adulta e la scelta della libera professione sento di essere fiorita, come capita quando facciamo scelte che corrispondono alla nostra essenza più vera.
Mostrarsi per chi si è diventa per me l’atto più coraggioso perché richiede forza, autostima e amore per chi siamo.
Così come imparare che qualche maschera, magari leggera, in alcuni contesti è inevitabile metterla, per non farsi ferire – essere sé stessi sì, martiri no: non sempre chi ci troviamo davanti è la persona giusta per svelarci.
I protagonisti coraggiosi di cui vado quindi in cerca nelle storie non sono eroi senza macchia: dall’altra parte del coraggio, speculare e inseparabile, per me sta proprio la paura.
La paura protegge la nostra essenza più vera, che a volte è a rischio nel mondo esterno: senza paura non ci sarebbe nemmeno coraggio, perché vorrebbe dire che non stiamo davvero rischiando, e quindi intraprendendo qualcosa di nuovo.
È quello che cerco di passare tanto nel mio percorso individuale “Coraggio non significa non avere paura – Percorso per lanciarsi” quanto in quello di gruppoIl nostro cuore segreto – Percorso per libere professioniste alla ricerca della propria unicità”, entrambi per libere professioniste che vogliano essere aiutate dai romanzi a spiccare il volo nella ricerca della propria unicità, della propria voce e, di conseguenza, della propria libertà.

I protagonisti coraggiosi che amo hanno capito che mostrare le proprie fragilità e la propria vulnerabilità è la chiave per ottenere ciò vogliono davvero, non un surrogato semplice e dettato dal volere degli altri.
Sono quelli che crescono senza diventare cinici e continuano a cercare le persone a cui rivelare il proprio cuore segreto: i ragazzi, e poi gli adulti, di “It”, Annabelle di “L’anno in cui imparai a raccontare storie”, Karen di “La mia cosa preferita sono i mostri”.

Iscriviti alla newsletter

Condividi su: