L’intervista di Giovanni Capurso presso l’abbazia di Münsterschwarzach, in Baviera, a Padre Anselm Grün, monaco benedettino tra le personalità più carismatiche del nostro tempo e autore di best-seller mondiali.

1. Padre Anselm, se non vogliamo essere travolti dalla marea di lusinghe e seduzioni proposti nella nostra società del benessere dovremmo forse recuperare quella parola tanto cara a San Benedetto, discretio, che deriva dal latino discernere, ossia imparare a distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è.
Per san Benedetto è importante il discernere, ma è anche importante trovare la giusta misura: misura nel consumo, misura nell’energia, misura nella preghiera, ecc…
Molta gente ha delle immagini troppo alte di se stessa. Deve essere sempre perfettamente cool. Uno psicologo, Daniel Hell, dice che quando uno ha un’immagine troppo alta di sé l’anima risponde con la depressione. La depressione è una ribellione contro immagini troppo alte di se stessi. È quindi molto importante la misura in tutte le forme della vita, nel cibo, nel vino (risa), in famiglia, nel lavoro, ecc…
2. So che qui vengono anche molti manager, persone che hanno particolari responsabilità.
Per la crescita e lo sviluppo della comunità, non dimentichiamo che l’ordine benedettino è stato il vero motore dello sviluppo dell’economia dell’Occidente. A tuo avviso, quanto questo modello di lavoro può parlare ai manager delle nostre aziende?
Molti manager hanno capito che non si tratta solo di cercare denaro. Non è solo una questione di soldi. Il lavoro dev’essere al servizio dell’uomo: dobbiamo cercare l’uomo, arrivare al cuore dell’uomo.
Spiego che nella vita dell’azienda bisogna promuovere l’uomo, non solo l’interesse del proprietario dell’azienda.
Gustav Jung ha detto che i dirigenti di azienda hanno anche il dovere di “risvegliare” la vita nell’uomo.
Naturalmente io non dico come possono accrescere il profitto, ma come superare i possibili conflitti per arrivare alla fonte dell’interiorità.
Dunque è importante dirigere con i valori. In tedesco si dicono “werten”. Dei buoni valori favoriscono la ditta perché generano motivazioni. Fede e speranza sono importanti fonti di energia.
3. Le mura spesse dei monasteri rappresentano la forza che sorregge lo spirito e la visione benedettina: stabilitas, dal latino stabilità, ciò che forse manca in questa società liquida, come l’ha definita Zygmunt Bauman. Nella nostra epoca non manca forse quel senso di appartenenza che è alla base dell’insegnamento benedettino?
C’è bisogno di andare alla radice della vita. Stabilità significa essere ricongiunti alle radici. Per me stabilità significa innanzitutto recuperare la calma. Molti uomini invece sono in fuga da se stessi, non sanno cosa vogliono dalla vita.
4. Questo forse ha a che fare con i cambiamenti sociali: fino agli anni Sessanta, i maggiori conflitti che l’individuo si trovava ad affrontare erano riconducibili a “ciò che è permesso” e “ciò che è proibito”. Con la rivoluzione del Sessantotto e le grandi conquiste libertarie intervenute nella società, questa contrapposizione ha ceduto il passo alla contrapposizione tra “ciò che è possibile” e “ciò che è impossibile”. E forse ritorniamo alla questione della giusta misura perché ci troviamo in una società molto competitiva…
La vita dell’uomo contemporaneo è fatta di molte pressioni. Tutti vogliono rappresentare se stessi come qualcosa di perfetto, su Facebook e Twitter, ma questo crea pressioni sugli uomini. Alain Ehrenber, a tal proposito, dice che questo genera la fatica di essere se stessi.
La vita diventa faticosa, c’è il culto di sé favorito dai social media: guardare solo all’apparenza e non ad essere per se stessi. Può trasformarsi in una grave malattia.

5. Tutte le statistiche ci dicono che le persone con depressione sono in continuo aumento. Raramente si considerano le radici spirituali di tale patologie. La Bibbia e la tradizione spirituale possono suggerirci la strada per affrontarla?
Non ogni depressione è una malattia. Ma certe volte è un segno di immagini troppo alte, l’ossessione per il successo, per la perfezione. Altre volte è segno che non abbiamo radici, nella fede, o nella forza che dovrebbero darci il padre e la madre.
Evagrio Pontico, un monaco del quarto secolo, dice che nel fondo della depressione ci sono delle immagini infantili della vita perché guardiamo al nostro io idealizzato e non a quello reale. Allora è importante, soprattutto in questa società, accettare se stessi.
Il greci, a tal proposito, usavano due termini: lýpē e pénthos. Il primo sta ad indicare la tristezza in cui reagiamo passivamente al frantumarsi delle nostre illusioni. Il secondo indica la rielaborazione positiva del lutto.
6. Se già possiamo trovare un rimedio ai nostri malanni spirituali nella Bibbia, a che serve il supporto della psicologia?
Nei primi secoli la spiritualità era una forma di psicologia perché i monaci guardavano alla conoscenza di sé.
Per me la psicologia ha due funzioni. La prima è quella di conoscere se stessi, qualcosa che tuttavia non può sanare: apre la mia verità e la mostra a Dio. È l’amore di Dio che entra nella mia paura, nella mia emozione, nella mia verità: è Lui che può sanare.
La psicologia ha solo il compito di aprire la verità di noi stessi, di metterla alla luce.
A tal proposito un pericolo concreto della spiritualità è la fuga nella grandiosità: io sono solamente spirituale e non vedo le mie emozioni. Ciò può portare l’uomo a scollegarsi dalla realtà.
La seconda funzione è critica: si tratta di capire quando la spiritualità è sana o è solo una fuga dal mondo attraverso forme sbagliate. Ciò può portare alla presunzione di essere superiore agli altri.
7. A tal proposito hai di recente scritto un libro sull’ombra. Di questo aspetto ne parlava già Gustav Jung. Di cosa si tratta?
Per Gustav Jung ogni uomo ha due poli: amore/aggressività, fede/dubbio, fiducia/paura, ragione/sentimento.
E quando vivi un solo polo, l’altro va nell’ombra. Di per sé l’ombra non è negativa, ma quando viene soppressa può diventare pericoloso.
8. Dunque bisogna recuperare l’ombra…
Non bisogna viverla, è chiaro, ma trovare un equilibrio.
Per esempio nel caso dell’amore e dell’aggressività. Quando dico di vivere solo l’amore, l’aggressività cerca un’altra via. Qualche volta è corporale, ma altre volte è passiva, latente.
Quando per esempio il prete dice noi cristiani “non litighiamo” ma amiamo soltanto: è una forma di aggressività perché ci dev’essere il diritto ad avere un’altra opinione.
9. Quindi anche il moralismo può portare a giudicare gli altri…
Il moralismo è una diretta conseguenza del rifiuto dell’ombra. Prendiamo ad esempio il rapporto fede/dubbio. Quando abbraccio il dubbio, quest’ultimo è una fonte di fede vivente, perché mi impegna a cercare “che cos’è Dio?” o “che cos’è la Redenzione?”. Ma la fede senza il dubbio diventa fondamentalista e inizia il combattimento contro gli altri.
10. Mi fermo a questo aspetto: sulla base dei tuoi studi e della tua esperienza cosa distingue la normalità dalla patologia?
Sì, bisogna essere molto prudenti quando parliamo di patologia perché qualche volta è il risultato di una prova, di una storia difficile. Ma è certo che la patologia impedisce la vita autentica, la comunione con gli altri uomini, impedisce anche il lavoro. In generale, non ci fa vivere bene.
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About The Author: Giovanni Capurso
E' docente di Filosofia, giornalista e scrittore. Ha pubblicato i romanzi di formazione "Nessun giorno è l’ultimo" (Curcio), "La vita dei pesci"(Manni) e "Il sentiero dei figli orfani"(Alter ego).
Scrive regolarmente per numerosi periodici e blog.
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