Felice Cimatti è professore associato di Filosofia del Linguaggio presso l’Università della Calabria, docente all’Istituto Freudiano di Roma e socio fondatore del Centro Studi di Filosofia e Psicoanalisi; all’attività didattica affianca quella di conduttore dei programmi Farehneit e Uomini e Profeti su RadioTre.
In questa intervista abbiamo parlato soprattutto del suo ultimo libro La fabbrica del ricordo edito dalla casa editrice Il Mulino.

1. Il suo ultimo libro La fabbrica del ricordo è senza dubbio un’opera complessa e al contempo appassionante, che oscilla tra scienza e filosofia, affrontando una tematica molto delicata.
Come nasce la sua opera?
Intanto spero che non sia troppo complessa, cerco di essere sempre molto attento alla comprensibilità di quello che scrivo. L’idea più ravvicinata del libro nasce da una proposta di Massimo Mori, che ha avviato una collana – che si intitola Filosofia e vita quotidiana – in cui si cerca di coniugare riflessione filosofica e attenzione alla quotidianità dell’esistenza. Ho accettato con molto piacere l’invito, perché il tema della memoria e della dimenticanza mi ha sempre molto incuriosito. In questo senso La fabbrica dei ricordi ha un’origine, almeno per me, molto più remota.
Sono molti anni che volevo raccogliere in un libro complessivo i pensieri che avevo sulla memoria. In particolare mi ha sempre stupito perché il ricordare sia sempre dato per scontato, come se fosse ovvio perché è importante ricordare, mentre l’oblio è visto come uno stato eccezionale. Da un punto di vista scientifico mentre non ci sono molti studi sul perché si ricordi, presumendo che la risposta a questa domanda sia ovvia, ce ne sono molti di più (anche se il tema a lungo è stato meno studiato del ricordo) sul perché si dimentichi. C’è poi una mia idiosincrasia per tutta questa enfasi sul ricordo, per quanto mi riguarda cerco piuttosto di dimenticare, o almeno di non farmi incatenare dai ricordi. Vedo più la memoria come un fardello che come una risorsa.
2. Nelle pagine del libro sono riportate le più importanti ipotesi e teorie di scienziati, psicologi e filosofi quasi a voler accompagnare il lettore in un percorso conoscitivo che lo aiuti a comprendere i molteplici meccanismi della memoria fino ad arrivare ad una ecologia dell’oblio, la possiamo definire un moderno Virgilio nel limbo della memoria?
Un paragone sproporzionato, sinceramente. Studiando il campo della memoria ci si accorge che la bibliografia sul tema è davvero sconfinata. Ho cercato di costruirmi un ‘mio’ percorso, per cercare io per primo di capirci qualcosa: è difficile farsi capire se quello di cui parliamo o scriviamo non lo abbiamo per metabolizzato.
L’idea guida, che riprendo dal mio campo di studio principale, la filosofia del linguaggio (in particolare dalle osservazioni sulla psicologia del filosofo Ludwig Wittgenstein), è che l’attività mentale, anche quella cosiddetta privata, sia sempre un’attività in qualche modo sociale. Come impariamo a parlare dagli altri, così impariamo a ricordare dalla comunità di cui facciamo parte. Questo vale soprattutto per quel tipo di memoria che gli psicologi chiamano “memoria esplicita”, che in sostanza vuol dire quel campo mnemonico che possiamo raccontare.
Ecco, l’idea del libro è che mentre la “memoria implicita” (quella degli animali e delle piante e dei piccoli umani) è naturale, e quindi non ha a che fare con l’apprendimento, la “memoria esplicita”, invece, è un prodotto culturale. In questo senso impariamo come e cosa ricordare. Pertanto tutta la memoria umana è una mnemotecnica, cioè una memoria in qualche misura artificiale e artificiosa. Questo fra l’altro implica che di un ricordo personale non si può mai dire che sia vero o falso, proprio perché non è come una sorta di ‘fotografia’ dell’esperienza ricordata. Ogni ricordo è sempre una rielaborazione a partire da precedenti rielaborazioni mnemoniche.
3. Il titolo del libro è estremamente eloquente relativamente al contenuto e ribalta l’idea più comunemente diffusa che il ricordo, la memoria sia qualcosa di statico, di legato al passato, di personale. Lei, invece, suggerisce un’altra possibilità, le va di fornire qualche indizio?
Come avevo appena cominciato a dire nella precedente risposta, la memoria umana è continuo lavorio (per questo è una fabbrica), in cui una traccia mnestica viene sempre di nuovo rielaborata e ripresa. E quindi anche modificata. Questo è un punto molto chiaro della psicoanalisi, secondo cui il meccanismo mnemonico fondamentale va dal presente al passato – è una memoria retroattiva – non come sembrerebbe più ovvio, dal passato al presente. Ogni ricordo del passato è in realtà una ricostruzione a partire dalla interrogazione mnestica che parte dal presente. Questo significa, ad esempio, che non esiste un ricordo originario, perché questo meccanismo retroattivo è all’opera da sempre. Anche il primo ricordo, in effetti, è già il ricordo di un ricordo. Questo produce, come effetto ‘filosofico’ complessivo, una presa di distanza rispetto ai ‘propri’ ricordi; se ogni ricordo è il risultato di un lavoro di costruzione e ricostruzione del ricordo, attraverso i mezzi che ci offre l’ambiente sociale, allora ogni ricordo che ricordiamo è anche e sempre il ricordo di qualcosa così come lo potrebbe ricordare il mondo sociale a cui apparteniamo. In questo senso i ricordi non sono mai soltanto i ‘nostri’ ricordi. Studiare per questo libro ha rafforzato la mia diffidenza per ogni idea di ‘autenticità’ interiore.
4. Tra le varie cose, lei è anche conduttore radiofonico, questa attività ha contribuito alla realizzazione del libro?
Non direttamente, se non come dicevo all’inizio per il fatto che come nel lavoro radiofonico cerco sempre di essere il più chiaro possibile (sempre che poi riesca davvero ad esserlo), così ho cercato di esserlo in questo libro. Anche se questo è l’impegno che prendo con me stesso per ogni libro che scrivo. Direi che più che l’esperienza radiofonica mi ha aiutato, e continua ad aiutarmi, la mia esperienza come insegnante. Sono stato per diversi anni insegnante di Italiano in una scuola media, a Subiaco, una cittadina ad una ottantina di chilometri ad Est di Roma. Avevo la fortuna di insegnare in una scuola piccola, con classi di pochi alunni: non puoi fare l’insegnante se non impari a farti capire da dei bambini. Tenga conto che insegnavo materie come Analisi logica, non puoi pretendere che un bambino si interessi a qualcosa del genere; devi trovare un modo per fargliela apprezzare in qualche modo.
5. L’oblio della memoria è visto per lo più come qualcosa di negativo, legato spesso ad alcune patologie neurodegenerative, può essere visto invece come un’opportunità?
Non so se la parola “opportunità” sia quella migliore, direi che la memoria spesso è un peso, talvolta insopportabile. In questo caso l’oblio non è affatto una perdita, o non solo una perdita, è anche e soprattutto un’occasione per liberarsi di questo peso. Fra l’altro l’insistenza, peraltro motivata dalle migliori buone intenzioni, sul cosiddetto ‘dovere della memoria’ è evidente che non ha funzionato, come dimostra il risorgente antisemitismo in Europa e nel mondo. Forse il problema non è ricordare, ma semmai che fare di certi ricordi. Ma comunque il punto non è ricordare per ricordare, ma ricordare per smettere di ricordare e cominciare a vivere. A questo riguardo forse le cose più belle sull’oblio sono quelle scritte di Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita.
6. Non possiamo non rivolgerle una domanda relativamente al momento storico che stiamo vivendo. Secondo lei, cosa e come ricorderemo l’emergenza Covid-19? E questa situazione cambierà la “fabbrica dei ricordi”?
Siamo troppo dentro l’epidemia per poterla pensare, figuriamoci poi per poterla ricordare. Credo che a lungo il problema non sarà quello dei nostri ricordi dell’epidemia, piuttosto accadrà il contrario, l’epidemia continuerà a farsi ricordare, saturando il nostro pensiero e la nostra memoria. Ci sarà un’invasione della memoria da parte del virus. In questo senso l’oblio sarà essenziale, anche per permetterci di pensare oltre l’emergenza, una emergenza che attualmente sta occupando tutti gli spazi della nostra vita. Un oblio sano, ovviamente, non una rimozione o una sottovalutazione del passato. Un oblio che porti oltre questo presente emergenziale.
7. Per terminare l’intervista facciamo sempre una domanda ai nostri ospiti: quale “pensiero filosofico” sente di esprimere ai lettori del nostro blog?
Non state a sentire tutti quelli che si presentano come filosofi, e in generale quelli che hanno qualcosa da dirvi. Mai come ora non abbiamo bisogno di guide e maestri. Informarsi, dalle fonti giuste e controllate, e pensiero non schiacciato dalla paura. Filosofia vuol dire non avere paura.
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