Un vecchio monaco disse: “I pensieri cattivi sono simili ai topi che entrano in una casa. Se li uccidiamo uno dopo l’altro, man mano che penetrano, non ci capita nessun danno. Ma se al contrario lasciamo che la casa si riempia di topi, per poterli scacciare ci vorrà molta fatica. Se si riesce a far questo, tutto va bene, ma se invece si rinuncia, la casa tutta sarà devastata”.

La nostra mente si trasforma in funzione dei pensieri di cui si occupa. Padre Anselm, monaco benedettino, ci dice che “i pensieri esercitano un influsso significativo sulla nostra mente, sulla nostra disposizione d’animo e sulle nostre azioni”. Lo stesso Benedetto, nella sua Regola, riteneva che la vita monastica fosse una conversatio morum, un cambiamento di comportamento.

L’essere assaliti da pensieri negativi, per esempio, è anzi qualcosa di molto comune. Sono come lenti oscure che ci fanno vedere le cose tutta la giornata in maniera cupa. Sono pensieri dunque che ci sottraggono energia vitale. Dinanzi ad essi sembra quasi che non abbiamo la forza di reagire e quindi condizionano fortemente i nostri comportamenti.

Di essi ne parlano ampiamente già i primi monaci, i primi “psicoterapeuti” della storia, come Evagrio e Cassiano. La loro esperienza, frutto della lotta in luoghi inospitali contro i loghismoi, cioè contro i pensieri e i sentimenti che ci tormentano, ci può essere di grande aiuto. Lo scopo della loro vita fu l’hesychia, la pace che si sperimenta ricevendo Dio nel proprio cuore.

Evagrio Pontico, per esempio, nel suo Antirrhetikon (raccolta di repliche) arriva a dire che nella tristezza possiamo compatire noi stessi e ruotiamo esclusivamente intorno ai nostri problemi, senza lasciarci davvero aiutare. “Al fondo della nostra tristezza ci sono dei desideri esagerati nei confronti della vita” precisa a tal proposito padre Anselm.

Autosuggestione e somatizzazione

Alla fine possiamo perfino godere della nostra tristezza, ci aggrappiamo ad essa come una scusa per non impegnarci. Ne abbiamo bisogno per non dover cambiare. Da questa tonalità emotiva si possono generare autosuggestioni del tipo: “sono un fallito”, “nessuno mi vuol bene”, “non ce la faccio più”, “nessuno si occupa di me” e così via.

Senso di fallimento, abbandono, frustrazione, mancanza di orizzonti di senso sono le principali cause che determinano le nostre autosuggestioni. Così, invece di lottare, ci rifugiamo nella nostra debolezza e ci compatiamo, ci persuadiamo di quanto sia impossibile vincere. Piuttosto che fissarci sulla nostra forza, ci fissiamo sulle nostre incapacità utilizzandole come scusa per non impegnarci.

Le persone spesso somatizzano determinate patologie a causa del modo in cui pensano la realtà circostante e gli eventi che gli capitano. Molti si ammalano perché sono sopraffatti da una visione fatalista del mondo. Non dobbiamo lamentarci per le cose che ci vanno male se indugiamo in stati d’animo depressivi e siamo pieni di timori attraverso frasi come quelle citate prima. Esse di solito sono le risposte che sentiamo da persone in difficoltà o che sfuggono alle difficoltà attraverso delle scuse. L’inerzia attraverso di esse riesce a sopraffarli e a sconfiggerli.
L’atteggiamento negativo può riguardare ognuno di noi e può riemergere anche in maniera inconscia sotto forme somatiche abnormi come ben spiega la psicoanalisi. C’è quindi una predisposizione mentale che può essere il motore della nostra esistenza o la causa della nostra arrendevolezza dinanzi agli stessi eventi. Quando ci identifichiamo con qualcosa ne siamo inevitabilmente dominati, ne diventiamo schiavi, non sappiamo liberarcene, e ciò ci fa soffrire. Non è tanto ciò che ci succede a farci stare male o bene, ma il modo in cui percepiamo i fatti e come reagiamo ad essi.

Molti di questi pensieri si presentano come veri e propri comandi interiori che ci portano verso vie sbagliate. Altre volte ci danno una visione errata di noi stessi e del mondo che ci circonda. Per questo, la vita psicologica e spirituale dipende in gran parte dalla capacità di saper selezionare i pensieri che si riversano dentro di noi.
Tuttavia non dobbiamo meravigliarci, né spaventarci, di nessun pensiero che affiora in noi, anche quelli che ci palesano sentimenti di odio, rancore, gelosia o invidia. Non dipende da noi neanche il fatto che si presentino con una certa regolarità. Piuttosto dobbiamo lottare contro i pensieri negativi, cercando di gestirli.

Tristezza ed esercizi spirituali

Dunque non si tratta di evitare o cancellare questo o quel pensiero, ma capirne le cause che li hanno generati e combatterli. Solo in questo modo potremo superarli. I pensieri, dunque, non si presentano mai in forma coatta, ma abbiamo sempre la possibilità di vegliare e lottare contro di loro. Come dicono alcuni Padri del deserto è molto importante al risveglio produrre pensieri edificanti. Il primo pensiero che facciamo al mattino è come il “riempire la macina del mulino”. La prima cosa che viene gettata nel mulino verrà macinata tutto il giorno.

Per esempio, il metodo antirretico di Evagrio consiste nel contrastare immediatamente ad ogni pensiero negativo un altro positivo. Quest’ultimo dobbiamo farlo nostro, interiorizzarlo, impadronircene nella nostra mente. Il monaco chiama questa tecnica meditativa anche con il termine di ruminatio. Come la mucca con il suo cibo, il monaco deve costantemente “ruminare” la parola di Dio, deve masticarla, rielaborarla dentro di sé, finché non diventa sua. “Questa semplice tecnica della ruminazione – dice padre Anselm – non serve solo ad affrontare e superare le situazioni di tutti i giorni con un atteggiamento di fondo positivo, ma porta all’illuminazione, a profonde esperienze di Dio”.

Designed by pch.vector / Freepik

Come un buon profumo quelle stesse parole, interiorizzate, ci avvolgeranno, ci faranno star bene e nei momenti giusti ci sosterranno. Le parole ripetute nella nostra mente diventeranno costitutive del nostro essere come una casa in cui abitiamo. Ma non basta: i pensieri positivi vanno anche associati ad azioni precise. Non è una cosa semplice, visto che molto spesso i propositi che facciamo ci servono come scusa per non dover modificare niente nella nostra vita. Certo, ci proponiamo di lavorare su noi stessi, di fare passi avanti. Ma in realtà rimaniamo fermi. I buoni propositi tranquillizzano la nostra coscienza, ma non operano nulla.

Piuttosto, invece di riempire la vita di vuoti buoni propositi, dovremmo allenarci a piccoli gesti quotidiani che possono cambiare il nostro modo di rapportarci alle situazioni. L’arte della vita spirituale consiste nel rendere le piccole cose di tutti i giorni un allenamento alla presenza di Dio.

Iscriviti alla newsletter

Condividi su: