Siamo abituati a pensare noi stessi sempre in termini superlativi, siamo perennemente chiamati ad essere migliori di qualcun altro, nel lavoro, tra gli amici: sentiamo il dovere di alzare continuamente l’asticella delle nostre prestazioni.
La difficoltà di accettare i propri limiti viene anche favorita da una cultura che ci vuole sempre al massimo attraverso la pubblicità e i media.

Insoddisfazione e depressione
Il perfezionismo, non di rado, è anche la causa delle nostre paure e delle nostre angosce. Se sentiamo il dovere di essere migliori in ogni occasione, nei dibattiti, nel lavoro, avremo continuamente paura di fare brutta figura o di non essere soddisfatti. La paura e l’insoddisfazione sono alla base di una cultura che rifiuta l’errore.
Già circa millecinquecento anni fa san Benedetto criticava il vizio della “scontentezza”, diventata una piaga della nostra società. Paradossalmente essa è un segno della società dell’opulenza: quanto più si ha, tanto più si vorrebbe avere. Il confronto incessante con gli altri, in una società competitiva, ci induce continuamente a non porre freno ai nostri desideri.
In tal senso, la depressione non è che una conseguenza, una sorta di “grido di aiuto” dell’anima contro le immagini smisurate della presunzione.
L’anima sente che sono troppo grandiose, che non corrispondono al nostro vero essere e quindi si ribella. Da qui ne scaturiscono sentimenti depressivi legati all’ossessione per il successo, per la perfezione fisica e l’illusione di avere in pugno la nostra vita.
Oggi sappiamo dalla scienza che molte forme di depressione dipendono da predisposizioni genetiche, ma anche dal modo in cui facciamo dimorare dentro di noi determinati pensieri. È una considerazione che dovrebbe farci riflettere visto che ci troviamo in una società che abbonda di occasioni di divertimento, ma che cerca di mettere sotto il tappeto i traumi interiori.
Evagrio Pontico, un monaco del quarto secolo, a tal proposito, diceva che nel fondo della depressione ci sono delle immagini “infantili” della vita perché guardiamo al nostro io idealizzato invece che a quello reale. «Perciò la depressione – dice Anselm Grün – va intesa come un invito ad abbandonare queste immagini grandiose senza scivolare nell’autodenigrazione. Un invito ad accettarci così come siamo».
Individuazione e fiducia in se stessi
La strada verso se stessi, che inevitabilmente ci individualizza, cozza altrettanto con la preoccupazione di piacere a tutti e a tutti i costi. La propensione a conformarsi alle opinioni dominanti può diventare un ostacolo concreto verso questo faticoso cammino.
La perdita di autostima non è che la conseguenza dell’incapacità di individualizzarci: ci facciamo sopraffare non solo dal senso di inadeguatezza che sentiamo nelle situazioni nelle quali viviamo, ma anche dall’alterità delle opinioni altrui.
Il benedettino Anselm Grün, in tal senso, ci prospetta una soluzione chiara, anche se non sempre facile da realizzare: sviluppare una buona autostima è fidarsi di se stessi, di Dio e della propria unicità. Dobbiamo innanzitutto saperci dis-identificare dalle immagini che gli altri ci appiccicano addosso o, perlomeno, da quelle che crediamo che gli altri ci attribuiscono, ma senza neanche essere troppo “eccentrici” come dice lo psicanalista Gustav Jung.
La mancanza di autostima ci porta a soppesare il nostro valore in rapporto all’attenzione e all’approvazione altrui. Essa ci impedisce di dire quei no che talvolta sono necessari per dare una disciplina alla nostra vita. La paura di essere impopolari o di ferire qualcuno ci impedisce di mettere dei paletti, ma così facendo rinunciamo ad avere dei punti fermi nella nostra vita.
Dobbiamo liberarci dalle opinioni degli altri, dobbiamo finire di paragonarci agli altri o di vederci in rapporto al mondo che ci circonda. La parte profonda del nostro essere non coincide con le cose che ci sono accadute, con la conoscenza che abbiamo accumulato e con il successo ottenuto: la parte più vera del nostro essere non corrisponde alle cose estemporanee che hanno attraversato la nostra vita.

Continuamente ci troviamo a far fronte alle aspettative dei genitori, dei datori di lavoro, degli amici, ma accontentare tutti è impossibile. Dobbiamo saper rispettare la nostra misura.
Naturalmente non si tratta di ignorare le aspettative degli altri. Ma non possiamo nemmeno sentirci obbligati a soddisfare tutto ciò che gli altri ci chiedono.
Finché ci identificheremo con i nostri bisogni immediati, con i nostri sentimenti o con le situazioni contingenti, non riusciremo a diventare indipendenti dalla realtà che ci circonda.
Colui che è in grado di distaccarsi dalle condizioni esterne è in pace anche con se stesso e può gestire la propria vita con equilibrio, senza lasciarsi trascinare dalle critiche, senza demoralizzarsi dinanzi agli errori; sarà infine libero anche dal giudizio altrui.
Chi è in contatto col proprio sé, – dice padre Anselm – si sente indipendente dall’opinione altrui, trova se stesso, la propria dignità. E diviene capace di rimanere presso di sé e di continuare a starci. Il viaggio nella propria interiorità è così affascinante che non si considerano più così importanti la lode e la correzione che giungono dall’esterno.
Diventa ciò che sei
La vera autorealizzazione infatti non dipende dall’ammirazione degli altri, dal piacere, dal possesso di ciò che si è, ma da quell’accettazione di sé che Friedrich Nietzsche ha sintetizzato nella celebre espressione «Diventa ciò che sei» (La gaia scienza, Libro III).
Ognuno conserva la sua unicità per il mistero che conserva attraverso la storia della sua vita. E allo stesso tempo ciò ci porterà a non dare troppo peso ai difetti altrui, non cercando più negli altri la colpa delle nostre manchevolezze.
Il bisogno di essere amati e stimati è naturale, ma ci porta spesso a vivere in funzione di quello che gli altri possono pensare di noi o di quello che possono dirci, e non in funzione di quello che è rilevante per noi stessi. Molto spesso seguiamo i gusti, le mode, gli stili della maggioranza non per una convinzione ma per paura di sentirci diversi o impopolari.
Il fare confronti – continua padre Anselm – è spesso espressione di mancanza di autostima.
Colui che continuamente si confronta con gli altri non dà alcun significato a se stesso, al suo valore, alla sua vita. Egli si definisce solo nel confronto con gli altri, per cui riscuote sempre minor successo. Vi saranno sempre persone più veloci di noi, portate di noi, più amate, che si presentano meglio di noi. Finché ci metteremo a confronto con gli altri, non saremo presso di noi. Non avremo alcuna percezione di noi stessi.
Se l’eccessiva soggezione nei confronti delle opinioni altrui nasce dal fatto che tutti vogliamo, anzi, abbiamo bisogno di essere amati, ciò può anche essere un impedimento forte verso la costruzione di un’identità sana.
Se mi accetto per quel che sono, affronterò la vita con tranquillità ed equilibrio, non sentirò necessariamente il bisogno di dover dimostrare qualcosa a qualcuno e gusterò con gratitudine ciò che la vita mi offre.
Per approfondire:
Titolo: Autostima e accettazione dell’ombra
Autore: Anselm Grun
Editore: San Paolo
Anno: 2018
Pagine: 136

About The Author: Giovanni Capurso
E' docente di Filosofia, giornalista e scrittore. Ha pubblicato i romanzi di formazione "Nessun giorno è l’ultimo" (Curcio), "La vita dei pesci"(Manni) e "Il sentiero dei figli orfani"(Alter ego).
Scrive regolarmente per numerosi periodici e blog.
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