“Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro,
anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.”
Italo Calvino
La parola “lingua” in italiano esprime un’ambivalenza di base: è un organo che mette in connessione l’interno e l’esterno del corpo. Si muove sulla soglia, e porta il mondo all’interno del nostro orizzonte percettivo tramite la facoltà del gusto.
Ma “lingua” indica anche un sistema simbolico e codificato di segni, sia scritti che vocali, che permette lo scambio di informazioni e la comprensione reciproca all’interno di un gruppo o di una comunità.
Valeria Cantoni Mamiani, autrice di Lingua. Estetica della soglia (Fefè Editore), tratta della lingua in ogni sua possibile accezione o sfumatura di significato. Citazioni filosofiche, letterarie, di attualità e di vita quotidiana compongono il mosaico di descrizioni riguardante questo organo condiviso da ognuno di noi.
Le infinite possibilità della lingua e del pensiero
La lingua, intesa come organo, possiede una sua forma di intelligenza, poiché è dotata di una memoria che permette ad esempio di rievocare un ricordo sopito e lontano. Pensiamo alla famosa Madeleine di Proust: egli, in vacanza dalla zia Léonie, assaporando una tazza di tè assieme al dolce appena citato, rievoca un potentissimo ricordo connesso alla sua infanzia, in una delle descrizioni più belle che la storia della letteratura abbia mai conosciuto.
A questo proposito, l’autore osserva che
quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare e a sperare sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del Ricordo.
La lingua è anche il tramite che permette la manifestazione del pensiero astratto. Concretizza i nostri pensieri in suoni, che a loro volta possono concretizzarsi in azioni. Dante la cita come organo di peccato e vizio, e in un certo senso le dedica il terzo cerchio dell‘Inferno. I golosi sono infatti coloro che si sono fatti sedurre dalla lingua, rendendosi suoi schiavi.
Viene citata a proposito anche la teoria di Humbolt riguardante il linguaggio, secondo il quale, uno dei problemi legati alla lingua, consiste nel mettere in relazione un sistema di segni con un sistema di contenuti psichici.
Le considerazioni riguardo questi due elementi riporta col pensiero al rapporto tra Fenomeno e Noumeno kantiano, ed alla conseguente difficoltà di capire come effettivamente essi siano in comunicazione tra loro. La ricerca di un equilibrio tra questi due fattori è una delle caratteristiche più importanti dei suoi studi.
Egli mette in luce anche l’infinita creatività del linguaggio, fondata sull’apparente paradosso secondo il quale tramite un sistema finito di segni (l’alfabeto) possono essere create infinite variabili di significato e di pensiero.
Lingua e comunicazione di massa
Nonostante la ricchezza offerta dalla combinazione di queste due variabili, l’autrice sottolinea come purtroppo la lingua
sembra essere sempre più schiacciata in una grammatica della finitezza e della modestia di pensiero e di lessico, schiacciata sulla finitezza dei propri mezzi che, ripetuti ossessivamente con una semplicità e banalità disarmanti, impediscono alle persone di comprendere e di farsi un’idea articolata dei fatti del mondo interiore ed esteriore.
Il riferimento è chiaramente rivolto ai mass media e ai social network, che in questi ultimi anni (azzarderei decenni) hanno gradualmente impoverito sia il vocabolario che gli argomenti trattati, semplificando sempre di più il linguaggio e di conseguenza le idee proposte al pubblico.
Come moltissimi filosofi hanno osservato, c’è una corrispondenza ineliminabile tra pensiero e linguaggio. Possediamo e padroneggiamo solo i pensieri di cui conosciamo la parola corrispondente. Va da sé che ad una povertà di vocabolario corrisponde una correlata povertà di pensiero.
Non a caso Orwell, nel suo mirabile e distopico romanzo 1984, ha immaginato una dittatura che tra i primi obiettivi aveva una completa revisione del linguaggio, volta a renderlo sempre più povero e a mantenere solo le parole funzionali al potere e alla dominazione. Così facendo, le future generazioni sarebbero cresciute con un bagaglio di parole estremamente limitato, e non avrebbero potuto quindi nemmeno immaginare un’eventuale ribellione al sistema.
La lingua è specchio della mente, osserva l’autrice. L’uso delle parole chiama ad essere responsabili di ciò che si dice, specie per noi italiani che abbiamo una lingua madre ricchissima, viva, testimone dello stratificarsi delle culture e delle epoche che hanno contribuito a crearla.
Compito che ognuno di noi dovrebbe imporsi, sarebbe chiedersi quanto effettivamente ci sentiamo responsabili di ciò che diciamo e di ciò che gli altri comprendono circa le nostre affermazioni. Solo questo ci riporta ad un uso consapevole della lingua.
Il nazismo e la burocratizzazione della lingua
L’importanza di questa consapevolezza linguistica è ben testimoniata da ciò che può sorgere nel momento in cui se ne fa un uso distorto e funzionale a scopi pericolosi: pensiamo al linguaggio di cui si è servito il partito nazista.
A questo proposito, l’autrice presenta una panoramica di come la burocratizzazione del linguaggio abbia ridotto l’uomo (in questo caso l’ebreo o l’avversario politico) a numero o codice, cosa ben peggiore della definizione di “nemico”.
Così facendo infatti, lo ha privato dello status di essere umano e quindi della dignità che tale definizione porta con sé. La logica conseguenza è che l’eliminazione di un numero non deve comportare nè problemi morali nè tantomeno sensi di colpa.
I nemici del partito possono essere trattati come merci, utilizzati e smaltiti a seconda dei bisogni.
La lingua utilizzata dal nazismo è estremamente povera e ripetitiva, impostata secondo modelli che ricalcavano le norme del partito. L’autrice riporta un’affermazione a tale proposito dell’etnologa francese Germaine Tillion, reclusa per un anno in un campo di prigionia, secondo la quale
il nazismo si insinua nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettata meccanicamente e inconsciamente.

Ogni nostro pensiero è linguistico, in quanto non si può pensare se non tramite una lingua specifica. Anche le emozioni, positive o negative che siano, trovano sfogo per suo tramite. Pensiamo alla conversazione di una seduta psicologica: la sua funzione è esattamente questo, esprimere tramite il linguaggio ciò che ci causa un disagio al fine di superarlo.
In definitiva, la bellezza di questo libro sta nella varietà di accezioni sotto la quale il termine lingua viene analizzato. Senza nessun pregiudizio, dando facoltà alla fantasia di esprimersi come in un gioco di libera associazione di idee, finalizzato solo ad esprimere il fascino verso l’organo che rappresenta in sè le infinite aperture di significato verso il mondo.
Titolo: Lingua. Estetica della soglia
Autore: Valeria Cantoni Mamiani
Editore: Fefè
Anno: 2021
Pagine: 148
About The Author: Camilla Stirati
Sono laureata in Filosofia Magistrale e ho lavorato per diversi anni come bibliotecaria e insegnante di italiano per stranieri.
Dopo l'università ho continuato ad approfondire con grande passione svariate tematiche legate alla filosofia, alla letteratura ed alla psicologia.
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