Molte volte l’apprendimento in classe può configurarsi come un processo unidirezionale, dove gli insegnanti trasmettono le conoscenze ai loro studenti. Questo approccio può limitare il coinvolgimento attivo degli alunni, andando ad influire in modo negativo sul benessere generale della classe.

Guidando senza imporre, l’insegnante facilitatore si distingue per il suo ruolo nel privilegiare un apprendimento attivo, in cui l’aula si trasforma in un ambiente di scoperta condivisa.

I bambini e gli adolescenti oggi

All’interno delle nostre scuole ogni giorno si vengono a creare numerose dinamiche di tipo relazionale che necessitano di essere osservate con la dovuta attenzione.

Le classi spesso non rappresentano più luoghi sicuri in cui si costruiscono rapporti che segneranno in positivo le esistenze degli studenti ma raccolgono cambiamenti economici e culturali e grosse tensioni sociali a cui le famiglie e i genitori non sembrano essere preparati in modo adeguato.

In questo contesto il mestiere dell’insegnante in molti casi è diventato più frustrante, penalizzato e povero di soddisfazioni.

In passato il docente era considerato dagli studenti e dalle loro famiglie una figura di indiscussa autorevolezza e riusciva a trasmettere con efficacia il proprio messaggio che era didattico ed educativo allo stesso tempo. 

Oggi gli insegnanti adottano un modello didattico che gli studenti recepiscono sempre meno e vivono con grande confusione la trasmissione dei contenuti proposti non riconoscendo i canali di comunicazione adottati.

Inoltre domina la necessità di valutare che impone scansioni nell’apprendimento uguali per tutti: il modello che emerge è quello di una scuola fondata sulle prestazioni e i risultati, come fosse un’impresa.

Gli alunni in molti casi sono considerati come teste vuote da riempire di contenuti anche attraverso l’uso di strumenti informatizzati e ipertecnologici.

Per creare un clima di collaborazione e progettualità occorre modificare qualcosa.

Formazione dell’insegnante facilitatore

La qualità delle relazioni incide in bene o in male sulla qualità della vita: relazioni buone sono in grado di aumentare il nostro grado di soddisfazione, nutrono la nostra motivazione e sviluppano benessere accrescendo l’autostima.

Le relazioni contaminate da conflitti irrisolti, rabbia, giudizi e pregiudizi, scarsa stima, influenzano tutte le sfere della nostra vita, da quella professionale a quella privata facendoci sentire insoddisfatti, demotivati e apatici con conseguenze anche per la nostra identità.

Perciò percorsi di consapevolezza sulla propria figura professionale in relazione al lavoro scolastico e sulle proprie risorse relazionali aiutano ogni insegnante a ritrovare il senso del proprio lavoro, che rimane uno tra quelli più decisivi nella formazione dell’individuo.

La passione nello spiegare le discipline richiede conoscenza e competenza della materia specifica ma ne racchiude in sé tante altre e la motivazione dei ragazzi passa anche attraverso la motivazione dell’insegnante che riesce a trasmettere l’amore per ciò che insegna.

La comunicazione con i propri alunni, se fatta in modo corretto, consente e porta ad un buon apprendimento e fornisce ai ragazzi gli stimoli giusti, favorendo l’interesse verso il tema o l’attività proposta.

Ma per migliore la qualità del proprio lavoro l’insegnante dovrebbe prendersi cura di se stesso e della propria formazione emotiva. Riconoscere e ascoltare le proprie emozioni stando in classe, con i colleghi e i genitori permette di ricoprire con chiarezza il suo ruolo evitando la pericolosa deriva dell’insegnante psicologo o dell’assistente sociale che lasciando da parte i programmi si dedica solo al disagio esistenziale degli alunni raccogliendo le confidenze oppure sostituendosi al genitore.

Spesso gli insegnanti si ritrovano in situazioni complesse legate alla gestione della classe.

Anche il comportamento dell’insegnante può attivare nell’alunno atteggiamenti oppositivi: a volte si agisce in modo frettoloso senza valutare con attenzione i motivi dei conflitti o scontri, si reagisce a caldo o utilizzando toni accusatori o al contrario con poca fermezza.

Se il docente, mettendosi in discussione, capisce ed ammette l’errore ci sarà un arricchimento nella relazione.

Competenze dell’insegnante facilitatore

Vediamo ora quali sono le competenze specifiche che un docente facilitatore dovrebbe acquisire per favorire un apprendimento attivo.

L’arte di domandare

È utile innanzitutto fare una breve panoramica delle diverse tipologie di domande che solitamente si incontrano in ambito educativo. Pensando specificatamente alle dinamiche all’interno della classe, si possono distinguere:

  • Domande di controllo: sono poste dall’insegnante durante un’interrogazione per verificare che l’alunno abbia studiato e acquisito le conoscenze necessarie. Es. “In quale anno è stata scoperta l’America?”.
  • Domande di comprensione: possono essere fatte anche durante una spiegazione per accertarsi che tutta la classe abbia capito il significato di una parola o di un testo e quindi procedere con la lezione. Es. “Che cosa significa il termine lapalissiano?”
  • Domande camuffate: sono domande che in realtà contengono in sé già la risposta o un giudizio sull’azione e quindi chi le riceve non è totalmente libero di rispondere. Es. “Non credi che sarebbe stato meglio chiedere scusa?”

Sono tutte domande tendenzialmente chiuse, pongono chi le fa e chi le riceve in una posizione asimmetrica e non mettono nella condizione di pensare insieme agli altri per generare un’idea nuova.

Le domande maieutiche vanno oltre il semplice recupero di informazioni e promuovono un apprendimento attivo e autonomo, consentendo agli studenti di sviluppare capacità di analisi, argomentazione e sintesi. Permettono inoltre agli alunni di prendere parte attiva alle discussioni in classe, poiché li mettono al centro del processo di crescita e formazione.

Il termine ‘maieutica’ deriva dal greco maieutichè techne, che indica il lavoro dell’ostetrica a cui Socrate paragona il suo insegnamento, che non consisteva nel trasmettere una dottrina bensì nell’aiutare i suoi allievi a portare alla luce le proprie idee.

Una domanda filosofica, in quanto solleva dubbi tra i quali è difficile orientarsi con le prime risposte che vengono in mente, spinge a indagare, a riflettere su quel che si dice e ad argomentare le proprie posizioni. È una domanda di fronte alla quale ci si trova nell’incertezza: essa può richiedere di analizzare una situazione intricata o ambigua, di valutarne le caratteristiche, di riflettere su diversi punti di vista da cui osservarla.” (Luca Mori, Meraviglie filosofiche, Erickson)

Vediamo le caratteristiche principali di questo genere di domanda:

  • È aperta
  • Non è giudicante
  • Sposta l’attenzione su chi riceve la domanda, il quale è chiamato ad esprimersi liberamente
  • È generativa perché stimola il confronto fra pari e permette un cambiamento di prospettiva

Es. “Piacere a se stessi significa superare i propri limiti? Che cosa vuol dire piacere a se stessi?”

È bene precisare che non si vuole qui dire che quest’ultime siano meglio delle altre, ma che semplicemente perseguono altri obiettivi e che possono essere integrate nei materiali didattici, nelle discussioni in classe e nelle attività di gruppo, perché stimolano il dialogo e l’elaborazione condivisa.

L’ascolto attivo

L’ascolto attivo è una delle metodologie comunicative messe a punto dallo psicologo statunitense Thomas Gordon negli anni ’70 e uno degli obiettivi principali è quello di migliorare l’autostima e la fiducia verso di sé e verso gli altri.

Prevede 4 fasi:

    1. Ascolto passivo e silenzioso
    2. Accoglimento di ciò che viene detto attraverso segnali verbali e non verbali
    3. Approfondimento di ciò che si sta dicendo
    4. Ascolto attivo, in cui l’ascoltatore ripropone ciò che è stato detto con parole proprie, senza però formulare giudizi

È importante, dunque, che l’insegnante (e i compagni) ascolti l’interlocutore senza preconcetti e accolga le sue idee anche se non le condivide, senza aver fretta di arrivare ad una conclusione e sostando tra i diversi punti di vista.

Ha il compito di esercitarsi a fare un passo indietro e astenersi dall’urgenza di dare risposte e soluzione ai problemi; piuttosto deve lasciarsi stupire e meravigliare.

L’alunno in questo modo si sente capito, ascoltato e non giudicato, sapendo che dall’altra parte c’è chi è disposto ad accogliere i suoi pensieri e i suoi sentimenti, qualunque essi siano.

La sospensione del giudizio sulla persona

Le nostre reazioni nelle diverse situazioni sono espressione di ciò che siamo e del nostro vissuto ed è spontaneo interpretare quello che ci viene detto in base alla nostra etica personale e a ciò che è per noi essenziale.

Anche i messaggi che gli insegnanti trasmettono ai ragazzi risentono di modalità comunicative acquisite nel tempo e di cui l’adulto a volte è poco consapevole. Oltre alle parole usate vi è il tono, il timbro e il volume della voce, il ritmo, le pause, i movimenti, la postura e posizione che si ricopre nello spazio.

Per l’insegnante talvolta è più difficile passare dal giudizio sul rendimento, competenza esclusiva legata alla sua professione, alla sospensione del giudizio sulla persona-alunno che talvolta è innescato anche da eventuali pregiudizi.

L’utilizzo del cosiddetto “messaggio Tu” (es. Smetti di disturbare!), attraverso il quale ci si “libera” della responsabilità all’interno del dialogo, fa sentire l’altro sotto esame e l’accusa di un comportamento scorretto ricade su tutta la persona che si sente in quel momento svalutata nella sua totalità e perde di autostima.

Nel caso di un bambino o di un adolescente che manca ancora della maturità emotiva, il risultato è spesso una reazione oppositiva, scomposta e priva di autocontrollo.

Un valido aiuto per gli insegnanti può essere quello di fermarsi ad analizzare le proprie modalità comunicative e utilizzare invece il “messaggio Io” (es. Quando tu disturbi, io mi innervosisco e perdo la pazienza) che apre alla comunicazione e porta l’altro a focalizzarsi sul suo comportamento ed eventualmente a correggerlo.

Il benessere in classe

Spesso si discute dell’inquietudine che affligge gli studenti, mentre si dedica meno attenzione a quella che invece coinvolge gli insegnanti. Eppure è importante riconoscere che la scuola può diventare un contesto di disagio e tensione anche per coloro che la guidano, poiché si scontrano con la difficoltà nel trovare un senso profondo nel proprio lavoro e con la sensazione di non essere abbastanza incisivi.

L’analisi delle rappresentazioni sociali mette in luce una visione spesso negativa del ruolo dell’insegnante, soggetto a un riconoscimento insufficiente. A questo si somma uno stereotipo diffusamente accettato, che dipinge gli insegnanti come beneficiari di condizioni lavorative agevolate, con orari ridotti e periodi di ferie più estesi rispetto ad altre professioni. Inoltre, quando emergono problemi legati allo stress, si tende spesso a imputarli esclusivamente a carenze personali e professionali. Questo quadro può contribuire a un clima di svalutazione e a una mancanza di sostegno adeguato nell’ambiente scolastico.

“Un insegnante può divenire uno sperimentatore di benessere anche in un’organizzazione nella quale molti sono gli ostacoli, le resistenze, le indifferenze, gli automatismi? Penso di sì. Non è necessario che si proponga di trasformare tutta la sua organizzazione: basta accontentarsi di partire da sé e dal proprio modo di interpretare l’insegnamento.” (Simona Alberti, Pratiche filosofiche a scuola, Ipoc)

La scuola può configurarsi, dunque, come uno spazio e un tempo dedicati alle relazioni, perché essa si prende cura non solo del patrimonio cognitivo degli studenti ma è chiamata a prendersi cura anche della dimensione emotivo – esistenziale delle persone che la compongono.

I cambiamenti sociali impongono la necessità sempre crescente di fornire gli strumenti per poter conoscere e comunicare in modo adeguato la sfera sentimentale che abita in ciascuno di noi e che ricopre un ruolo fondamentale nella nostra esistenza.

Nel contesto dell’istruzione attuale, è essenziale riconoscere che educazione ed emozione, così come pensiero ed emotività, si intrecciano strettamente. Questi elementi non solo sono parte integrante del percorso formativo degli studenti, ma anche dell’esperienza dell’insegnante. Comprendere e coltivare questa connessione può arricchire l’apprendimento, favorire l’empatia e migliorare la qualità dell’educazione, promuovendo uno spazio di apprendimento completo e soddisfacente.

Le basi teoriche

Socrate

Da un punto di vista filosofico Socrate rappresenta sicuramente un punto di riferimento per le riflessioni fin qui elaborate. In questo sito si possono trovare approfondimenti sulla sua figura:

Carl Rogers

Lo psicologo statunitense Carl Rogers (1902-1987) è l’esponente della cosiddetta Terza Forza o Psicologia umanistica che si sviluppa a partire dal 1962 e si oppone alle teorie comportamentiste e al pensiero freudiano classico.

Il programma della Terza forza focalizza l’attenzione sull’esperienza della persona e sul significato che questa le attribuisce, pone l’attenzione sulla creatività e l’autorealizzazione aiutando ognuno nello sviluppo del suo potenziale intrinseco.

“Dovrebbe esserci un posto in cui l’intera persona possa imparare, dove idee e sentimenti siano fusi tra loro. Ho dedicato molte energie a questo problema di far coincidere l’apprendimento cognitivo con l’apprendimento affettivo ed esperienziale, che nell’educazione odierna è così svalutato”.

Nell’apprendimento devono essere inclusi sia aspetti affettivi che esperienziali.

Quando la totalità della persona è coinvolta nell’apprendimento si integrano sia elementi cognitivi ma anche altri elementi fondamentali quali la curiosità, la passione, il desiderio di scoprire.

In un ambiente accogliente l’essere umano sperimenta l’autodisciplina e la fiducia in se stesso.

L’insegnante può riuscire in questo intento con i suoi allievi partendo innanzitutto dall’ascolto di se stesso e riconoscere e gestire i propri sentimenti permette che si manifestino in modo equilibrato.

L’empatia poi fa sì che si comprendano dall’interno le reazioni dell’altro e favorisce la crescita che deriva proprio dal sentirsi accolti e non giudicati.

L’insegnante acquisisce a sua volta nuove consapevolezze, ottenendo risultati importanti nel suo lavoro e soddisfazioni che accrescono la sua personale motivazione a fare sempre meglio.

Danilo Dolci

Danilo Dolci (1924 – 1997) è stato un poeta, sociologo, attivista e educatore italiano.

Attraverso la sua vita, ha cercato di stimolare la creatività latente di ciascun individuo tramite l’approccio “maieutico”. Collaborando con le comunità disagiate della Sicilia occidentale, ha cercato le leve del cambiamento sociale democratico; al cuore del suo impegno risiedeva l’approccio metodologico: anziché imporre verità preconfezionate, credeva nel coinvolgimento e nella partecipazione diretta degli interessati.

Questo si rifletteva nell’approccio maieutico reciproco, un processo dialettico che coinvolgeva almeno due persone in un gruppo, dove le domande erano esplorate collettivamente. 

Concentrandosi sulla scoperta dei valori personali e sull’espressione libera delle riflessioni, questo metodo promuoveva l’educazione collaborativa. Il laboratorio maieutico sfidava i partecipanti a mettersi in discussione, aprendosi alla condivisione e all’analisi collettiva, definendo così un nuovo modo di apprendere e di crescere insieme.

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Autrici di questo articolo:

Anna Pellizzari, laureata in Filosofia e diplomata al Master di II livello in Consulenza filosofica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Da diversi anni organizzo laboratori di filosofia con bambini e ragazzi della scuola primaria e secondaria; mi occupo inoltre di tematiche legate alla salute mentale, intrecciando filosofica, letteratura e psicologia.

 

Concetta Ippoliti, insegnante di lettere presso la scuola secondaria di primo grado, laureata in Filosofia, ho conseguito il master di II livello in Consulenza filosofica presso l’università di Tor Vergata, Roma. Utilizzo le abilità del counseling in ambito scolastico attuando con gli allievi e con le famiglie l’ascolto attivo, la comprensione, l’empatia, l’accettazione dell’altro.

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