Luca Mori è cultore di Storia della Filosofia presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e da oltre 15 anni conduce laboratori di filosofia con i bambini in tutta Italia. Il focus del suo lavoro con i più piccoli è incentrato soprattutto sull’esperimento mentale dell’utopia, che è diventato un gioco da lui stesso ideato e un libro dal titolo “Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia” edito da Edizioni ETS. Nel 2018 ha pubblicato il suo ultimo testo “Giochi filosofici. Sfide all’ultimo pensiero per bambini coraggiosi” (Erickson), rivolto ad insegnanti ed educatori che vogliono fare filosofia con i propri studenti.

Luca Mori_disegno

1. Lei è quello che si potrebbe definire “un accademico”, cosa l’ha spinta ad intraprendere questo progetto fuori dal percorso universitario?

Fino ad oggi la ricerca accademica è stata la mia attività principale, ma l’ho sempre accompagnata con esplorazioni e sperimentazioni in diversi contesti extra-universitari. Devo questo ‘gusto’ e questo interesse al mio maestro, Alfonso Maurizio Iacono, professore di Storia della filosofia all’Università di Pisa: mi ha insegnato ad attraversare contesti, sottolineando l’importanza di non cadere nella trappola dell’autoreferenzialità. La ricerca universitaria richiede un lavoro assiduo e approfondito, che necessita di periodi di confronto con i testi e con il dibattito accademico; ma può alimentarsi anche dall’attraversamento di cornici e dalla frequentazione di mondi differenti. Ciò, a maggior ragione, vale per chi è interessato alla filosofia dell’apprendimento e alla filosofia politica.

2. In questi ultimi anni anche in Italia si sta diffondendo sempre di più la filosofia con i bambini, con metodologie molto diverse fra loro. Ci può spiegare in che cosa consiste il suo approccio?

Penso che ogni approccio abbia molte caratteristiche distintive e alcuni tratti comuni agli altri. Nel mio caso, credo che la caratteristica distintiva più evidente stia nel tentativo di trovare nella storia della filosofia i punti di partenza e gli “strumenti per pensare” utili a conversare con i bambini. In questo senso, il “mestiere” di storico della filosofia mi serve per cercare problemi da proporre ai gruppi. Col tempo, mi sono accorto che ce ne sono alcuni che riescono a meravigliare e ad appassionare i bambini in modo sorprendente (non solo per me, ma anche per insegnanti e genitori, e per gli stessi bambini che si stupiscono delle idee che riescono ad avere). Credo che un aspetto interessante dell’approccio consista nel discutere con i bambini domande, enigmi, esperimenti mentali che hanno fatto discutere per secoli i filosofi: in quei problemi c’è qualcosa, insomma, che ha messo alla prova da lungo tempo la nostra curiosità e il nostro desiderio di sapere. Altre caratteristiche distintive penso siano il metodo di conduzione e i tempi del lavoro (che può arrivare anche alle quattro ore di conversazione serrata “senza sentirle”, in alcuni casi), nonché la ricerca di connessioni tra il tema della conversazione, le esperienze fuori dalla scuola e quel che a scuola di studia.

3. Ci può illustrare il Gioco delle 100 utopie da lei ideato e spiegare perché è rivolto proprio ai bambini?

L’idea alla base del Gioco delle 100 utopie era semplice: proporre l’esperimento mentale dell’utopia ai bambini della scuola primaria o dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia. A dire il vero, ho costruito utopie con bambini e ragazzi di tutte le età e in contesti molto diversi. Comunque, il Gioco delle 100 utopie è nato come un viaggio in Italia, nel cinquecentesimo anniversario dalla pubblicazione dell’Utopia di Tommaso Moro, con l’intenzione di dare voce all’immaginario politico e utopico dell’infanzia.

4. Nei suoi laboratori si avvale spesso degli esperimenti mentali, che sono anche al centro del suo ultimo libro Giochi filosofici; ci spiega brevemente in che cosa consistono e ci può fare qualche esempio?

Da ragazzo Albert Einstein si chiedeva cosa potrebbe osservare una persona viaggiando su un raggio di luce (alla velocità della luce). Questo è un esperimento mentale, non realizzabile in laboratorio: non solo i filosofi, ma anche gli scienziati ne hanno escogitato molti nel corso dei secoli. Abbiamo citato l’utopia: è un altro esempio. Si tratta di chiedersi cosa accadrebbe se avessimo la possibilità di fondare una nuova comunità in cui vivere bene, al meglio delle nostre possibilità. Affrontando un esperimento mentale si attivano contemporaneamente la memoria, il ragionamento e l’immaginazione e si entra in una dimensione del pensare insolita, utile a definire meglio i concetti, ad accorgersi di contraddizioni latenti nelle definizioni abituali o che diamo per scontate e così via.

5. Quali capacità vengono sviluppate e allenate nel bambino grazie all’approccio filosofico?

Direi che vengono allenate le capacità legate al ragionamento, all’argomentazione, all’ascolto attivo e all’uso del linguaggio, assieme alle competenze di cittadinanza (che hanno a che fare tra l’altro con il collaborare a una ricerca comune, con il trovare connessioni ecc.).

6. Sono piuttosto frequenti i laboratori sull’amicizia, sulla felicità o sulla contrapposizione bene/male, tutti temi centrali per la filosofia fin dalla sua nascita. Che cosa rende una conversazione su questi argomenti davvero filosofica?

A rendere filosofica la conversazione contribuiscono il punto di partenza che si sceglie (che può aprire allo stupore, alla meraviglia e al dubbio), il modo in cui si cammina (il tipo di domande che vengono fatte e il modo in cui vengono fatte strada facendo) e la capacità dell’adulto di lasciare spazio all’esitazione, al dubbio, al conflitto tra posizioni diverse. Prima ancora di manifestarsi sul piano della ricerca di soluzioni (problem solving), la filosofia sta nel modo di porre le domande, nella capacità di mettere in questione – attraverso la domanda – quel che si è già detto e pensato, per arrivare a punti in cui è difficile decidere che strada prendere e le stesse domande devono essere interrogate e formulate in modo diverso.

7. Per concludere una domanda che facciamo sempre ai nostri ospiti, quale “pensiero filosofico” vuole esprimere ai lettori del nostro blog?

In questo mi faccio aiutare da un filosofo, Ludwig Wittgenstein. Dai suoi Pensieri diversi, prendo questo. «È importante, per me, nel filosofare, mutar sempre posizione, non stare troppo a lungo su una gamba sola, per non irrigidirmi. Come chi ha fatto a piedi una lunga salita torna indietro per un piccolo tratto, per rinfrescarsi, per adoperare altri muscoli» (1937). O ancora: «Nella corsa della filosofia vince chi sa correre più lentamente. Oppure: chi raggiunge il traguardo per ultimo» (1938). E per finire: «Voler pensare è una cosa; avere talento per pensare, un’altra» (1944).

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