Solitudine è la parola che ci ha guidato nella nostra discussione al centro diurno; un termine dal significato ambivalente perché ci può trasmettere paura o, al contrario, serenità a seconda di come lo intendiamo e viviamo.
Nella prima accezione la solitudine si trasforma in isolamento, una condizione di radicale separatezza dal mondo in cui si precipita vertiginosamente e dove anche il più flebile bagliore di speranza si va spegnendo. Si fa esperienza di un vuoto, che cancella ogni senso che un’esperienza di vita può portare con sé e ogni speranza di recuperare un contatto dialogico con gli altri; l’intera fisionomia del mondo cambia e l’individuo si trova immerso in un radicale isolamento, nel quale si assiste ad una sconvolgente rottura dei rapporti intersoggettività e ad una atroce esperienza di incomunicabilità.

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GIOVANNI: “Per la mia esperienza la solitudine è solo negativa. Mi fa ricordare quando per ore ed ore restavo sul divano a fissare il soffitto, da solo senza voler vedere nessuno; provavo un senso di angoscia terrificante. Io non riesco a stare da solo per molto tempo, ho bisogno di stare in mezzo alla gente, più persone ci sono meglio è perché mi trasmettono gioia e spensieratezza. Ecco, l’ideale per me sarebbe vivere nel centro di una grande metropoli!”

ANGELA: “Mi trovo perfettamente con quello che dice Giovanni, io ho commesso degli sbagli proprio perché ero sola con me stessa, ma io non mi conosco ed è come se fossi stata sola con un estraneo. Io ho profondamente paura di rimanere da sola perché non so chi sono!”

Nell’altra accezione del termine, invece, è l’individuo che decide di sciogliere, anche solo temporaneamente, i legami con il mondo e di ritirarsi nella propria interiorità per allontanarsi da situazioni ansiose e ritrovare nuova forza per rilanciare la speranza verso il futuro. In questo tipo di solitudine, l’uomo è ancora aperto al dialogo con le cose e con gli altri, i cui volti si scoloriscono, ma mantengono ancora la nostalgia e la speranza di essere interrogati e di avviare una comunicazione; anzi, in questa solitudine creativa l’individuo ha la possibilità di avviare una comunicazione più autentica con il mondo.

ELVIRA: “Io ricerco dei momenti di solitudine, ho bisogno di staccarmi per un po’ dal mondo e stare con me stessa, riflettere su quello che faccio, sulla mia vita, sulle mie relazioni…è una condizione che volutamente ricerco nell’arco di una giornata. Sono sola ma non mi sento sola

CLAUDIO:” Neanche a me la solitudine fa paura, ho imparato ad accettarla; per cause di forza maggiore sono rimasto da solo e, non potendo cambiare questa condizione, mi sono adattato e sto bene.”

GRETA: “Quando stavo male avevo paura della solitudine, adesso invece che sto meglio ricerco degli spazi in cui potermi dedicare a me stessa.”

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Dalle parole dei partecipanti emerge chiaramente, dunque, la radicale differenza fra una solitudine che diventa sinonimo di malattia e una solitudine invece che diventa quasi spazio di riconciliazione con la propria coscienza. Uno spazio in cui ci si concede la possibilità di dedicarsi alle cose che si amano fare senza il timore di venire giudicati dalle altre persone.

GIOVANNA: “ Mi ricordo che da giovane sono andata per la prima volta in vacanza da sola senza genitori e senza amici, non avevo né il telefono né il cellulare…quei giorni sono stati per me giorni di libertà e di autonomia.”

GINEVRA: “Io passo molto più tempo da sola che in compagnia e sto bene; anche quando attraverso un momento difficile non mi sento mai sola perché sono in un certo senso in compagnia della mia storia, della mia biografia….sono in compagnia di me stessa, delle persone che ci sono state nella mia vita, anche se adesso non ci sono più, degli insegnamenti che ho ricevuto, della vita che ho vissuto.”

La solitudine quindi si configura come un’esperienza interiore che ci aiuta a comprendere quali sono i valori autentici della nostra vita; come uno stato dell’anima che ci connette con noi stessi, con la nostra parte più intima che solo a noi è data la possibilità e la forza di conoscere.

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