* di Stefano Di Lorenzo

In che misura è necessario conoscere la storia della filosofia per fare filosofia? Cioè per pensare filosoficamente, per fare del pensare filosofico un habitus, una forma mentis, perché la filosofia diventi uno stile di vita, insomma per essere un filosofo?

Nell’era dell’assoluta specializzazione tecnica e professionale nella quale viviamo, ci siamo abituati a pensare che un filosofo sia una persona con una laurea in filosofia, che si occupa professionalmente di filosofia e che altrimenti non possa essere.

Ma vivere filosoficamente non è un lavoro, essere un filosofo e ‘fare filosofia’ non per forza vogliono dire ‘fare il filosofo’.

persone che attraversano la strada in una città (1)

Filosofo o archeologo del pensiero?

Per poter rispondere alle domande poste qui sopra è necessario riflettere sulla natura della storia della filosofia.

In che misura esiste una storia della filosofia?

In che misura esiste un percorso filosofico chiaramente delineato nel quale si dovrebbero inserire tutti i principali esponenti della filosofia occidentale?

È naturale che molti manuali di filosofia presentino un’apparente evoluzione congruente ed intrinsecamente necessaria dell’evoluzione del pensiero occidentale, un pensiero che si sviluppa in maniera autonoma rispetto alle tradizioni non occidentali.

Ma non si tratta forse di un’illusione, di un errore di percezione, di una prospettiva sintetica a volo d’aquila, che non rende giustizia all’effettiva dinamica e alle turbolenze intellettuali che sono all’origine del pensiero?

Nietzsche e Marx sono quasi contemporanei eppure è difficile immaginare due pensatori che interpretino il mondo in maniera più radicalmente diversa.

È forse necessario dunque, per fare filosofia, conoscere tutti i dialoghi di Platone, avere familiarità con Plotino, sapere citare a memoria la “Critica della Ragion Pura”, aver pubblicato dei raffinati commenti su Hegel ed una tesi di dottorato su Heidegger? Senza tutte queste cose non ci potrebbe dire filosofi? Io oso dire di no.

Credere che un filosofo debba essere per necessità solo un commentatore su altri filosofi e che questa sia la conditio sine qua non della filosofia, significa aver frainteso il significato della filosofia.

All’origine del pensare filosoficamente non ci può mai essere solo la storia della filosofia: in tal mondo si diventa degli archeologi delle idee e dell’editoria, non un filosofo.

Questo non può essere l’impulso scatenante della riflessione filosofica.

Filosofia ed esperienza del mondo

All’origine del fare filosofia (si vuole mettere l’accento sul fare filosofia, sul vivere la filosofia come organica nella condotta della propria vita, rifiutando una condizione di filosofia solo come riflessione astratta) ci deve essere una profonda conoscenza della vita, dell’uomo, della realtà e del mondo.

Questa conoscenza può venire anche dai libri di filosofia, in quanto questi possono essere veicoli di nozioni e comprensione, ma non può mai venire solo ed esclusivamente dai libri di filosofia o nemmeno solo dai libri in generale.

L’archivista, il bibliotecario, persino il fine esegeta di Parmenide o di Plotino, se si limitano ed essere solo archivisti, bibliotecari o esegeti non hanno più diritto ad esprimersi in fatto di conoscenza del fenomeno del mondo nella sua totalità di chi, relativamente digiuno di filosofia intesa in senso stretto, attraverso l’esperienza e lo studio ha guadagnato grande conoscenza delle cose e dell’uomo seguendo altri percorsi.

L’esperienza umana del mondo è complessa. Non comporta esclusivamente il logico analizzare di situazioni e problemi, elementi questi che costituiscono la maggior parte della vita di un uomo.

Non si vuole qui negare l’importanza della conoscenza del lavoro di altri pensatori.

È naturale che riflettendo e cercando di vivere in maniera filosofica, si incontrino e ci si trovi a dialogare con celebri filosofi, viventi e del passato, perché la loro riflessione è di regola tanto ampia che si possono trovare analogie, ispirazioni ed insegnamenti da integrare nel proprio pensiero.

Filosofia vissuta

Va sottolineata inoltre l’importanza del proprio pensiero. Non si vuole qui fare riferimento ad una originalità programmatica e necessaria. La filosofia non è la moda, si può essere ottimi filosofi in teoria senza essere particolarmente originali.

D’altro canto però, senza quella componente di originalità che scaturisce da una riflessione intima, dalla propria esperienza originale che ognuno vive, semplicemente perché ognuno ha la propria intima biografia psichica ed intellettuale, difficilmente si può parlare di filosofia vissuta.

Ed una filosofia che non è vissuta, una filosofia che si limita ad essere riflessione teorica, rischia, non essendo messa alla grande prova della veridicità della vita, di risultare una filosofia falsa, una filosofia mendace.

C’è forse peccato più grande per una filosofia se non quello di essere (volutamente? per comodità?) falsa?

Concepita come visione coerente e complessiva del mondo, la filosofia non può nemmeno essere un concorso, una sfida retorica nella quale si compete contro altri.

Il vero filosofo fa filosofia prima di tutto per per sè stesso. Una comprensione coerente del fenomeno del mondo e della vita è funzionale inoltre al perseguimento dell’ideale dell’ευδαιμονία, eudaimonia, la vita buona e virtuosa, secondo diversi filosofi dell’antica Grecia.

Non si vuole qui fare un elogio della democrazia intesa in senso moderno, ma in un certo senso in potenza ognuno di noi può essere filosofo se è capace di esprimere razionalmente una visione del mondo complessa e coerente: in questo senso l’origine della filosofia non può che essere la conoscenza del mondo reale e la capacità di interpretarlo.

* Stefano Di Lorenzo è nato a Milano, di formazione germanista ed americanista. Vive in Germania dal 2009.
Allievo di Nietzsche e Schopenhauer da sempre, negli ultimi tempi si e’ incaponito nel voler approfondire gli studi intorno all’arcirivale di Schopenhauer, Hegel. 

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