Un altro anno scolastico è terminato, unico e profondamente diverso da quelli vissuti nella mia quasi ventennale esperienza di insegnamento nella scuola secondaria di primo grado.
Nel mese di marzo le scuole sono state chiuse per l’emergenza sanitaria e questa situazione ha portato a giorni di grande confusione e preoccupazione da parte di docenti e famiglie.
Lo stato d’animo che ho avuto modo di condividere con i colleghi, con cui ho iniziato da subito una pressoché quotidiana comunicazione telefonica, è stata l’incertezza che andava ovviamente al di là della situazione scolastica. Abbiamo continuato ad assegnare i compiti agli alunni attraverso il registro online pensando si trattasse di una circostanza di breve durata, ma ci siamo resi conto, con il passare dei giorni, che non era così.
Nella mia scuola è arrivata da subito la proposta da parte del dirigente di attivare le classi online ed è cominciata la didattica a distanza. Non è stato possibile tornare in classe e ancora ci sono molti dubbi sulle modalità con cui si inizierà a settembre.
Quello che ho potuto osservare nella relazione con i miei alunni sono state le differenze di approccio a questo nuovo modo di fare scuola, a seconda dell’età degli studenti.
I miei alunni più piccoli, di prima media, che si erano appena affacciati nella nuova scuola, con paure e difficoltà legate al dover gestire più materie e metodi di lavoro diversi a seconda dei professori, sono stati i più assidui e partecipi alle lezioni da casa.
Molti di loro sono stati supportati con pazienza dai genitori che hanno svolto un lavoro fondamentale, forse per la prima volta veramente alleati con gli insegnanti, per cercare di dare una continuità alle attività così bruscamente interrotte.
Ho lavorato con due gruppi, avendo una classe molto numerosa, e ho cercato di stabilire un contatto diretto con ogni alunno: da subito ho preso l’abitudine di accoglierli nella lezione live chiamandoli personalmente, assicurandomi che la connessione funzionasse e fossero davvero presenti, e di salutarli uno per uno alla fine dell’incontro, ricambiata quotidianamente dal loro affettuoso e originale augurio a passare una buona giornata.
A me è arrivato molto calore da parte loro nonostante la freddezza dello schermo. Alcuni alunni più timidi inizialmente intervenivano solo se chiamati, altri si sono mostrati subito desiderosi di partecipare attivamente alle lezioni.
Tutti sono cresciuti, sono cambiati in questi tre mesi e sono maturati, da soli, stimolati indirettamente dai compagni e chiamati improvvisamente a una maggiore responsabilità.
Fondamentale è stato il contatto personale attraverso la chat della piattaforma che ho tenuto quotidianamente con quelli più fragili: ho utilizzato questo canale per rinforzare quello che avevo proposto a lezione e sollecitare, a volte, lo svolgimento di un compito avendo da parte loro una costante risposta. Abbiamo vissuto anche momenti complicati a causa delle connessioni non sempre funzionanti e qualche ragazzo più svantaggiato nonostante l’aiuto della scuola, che ha fornito computer e tablet, ha avuto molte difficoltà.
Come nella scuola in presenza alcuni alunni hanno più bisogno di attenzioni e nel mese di settembre saranno in cima alle mie priorità.
I ragazzi più grandi, di seconda e terza media, in piena adolescenza, hanno risposto in modo emotivamente diverso. Ripensando alle lezioni l’immagine che mi arriva alla mente è uno schermo spesso nero con le loro iniziali e il microfono chiuso. Si sono in qualche modo nascosti, o forse protetti: le loro paure, la non accettazione del proprio aspetto fisico, l’insicurezza nell’ intervenire durante le lezione, tutto questo ha trovato nella telecamera spenta un’alleata. Questo fenomeno è emerso via via che passavano i giorni e mi ha messo in difficoltà. Ho cercato di capire le motivazioni e ho espresso il mio bisogno di un contatto visivo, ma solo alcuni hanno lavorato con le telecamere accese e non spontaneamente ma dietro mia richiesta. Alcuni colleghi si sono rivolti ai genitori manifestando la loro frustrazione ma ottenendo pochi risultati. Con quelli che andranno in terza e rivedrò a settembre, in modo laboratoriale, affronterò quello che è successo affinché diventi un’occasione di confronto.
I ragazzi di terza invece ho avuto modo di rivederli durante il colloquio orale dell’esame, sempre dietro lo schermo ma finalmente più sicuri nell’affrontare gli insegnanti riuniti per ascoltare l’esposizione dell’elaborato.
In questo periodo il dibattito sulla didattica è stato continuo: è scuola? Viene messo in discussione il ruolo del docente? Si corre il rischio che possa essere sostituito?
Io credo che molti insegnanti, alunni e genitori, in questo momento così complesso, abbiano mostrato la resilienza di cui tanto si parla. Flessibilità, adattamento alle situazioni, reazione ad un urto ambientale, ampliamento del proprio punto di vista, collaborazione con gli altri.
Il bisogno, nella primavera appena trascorsa, era quello di avere dei riti che aiutassero a vivere una quotidianità stravolta. Non c’erano alternative e credo che la scuola abbia fatto il meglio possibile, data la situazione. La scuola tornerà ad essere in presenza e ricca di relazioni formative tra docenti, figure-guida dai quali non si potrà mai prescindere, e alunni, desiderosi di crescere e accogliere nuovi insegnamenti.
La didattica a distanza è stata un’occasione inattesa che ha mostrato prima di tutto a noi insegnanti che alcune cose vanno cambiate: il modo di organizzare l’attività didattica ad esempio con tempi più brevi, la necessità di lavorare con gruppi- classe meno numerosi e l’attenzione concreta ai bisogni, non solo didattici, dei ragazzi in difficoltà.